Regia di Philippe Lioret vedi scheda film
Un magnifico film, raro, prezioso, dotato di un rigore morale che ne fa indubbiamente la pellicola più autentica e palpitante in questi giorni nelle nostre sale. Un film che si fa carico di problemi urgenti, un grido di dolore che esce muto dalla gola, uno sguardo dolente e consapevole sull'infelicità cui è destinato il genere umano, una fotografia mossa che ritrae nella sua involuzione il dialogo tra gli uomini, un atto di dolore che non evoca catarsi, un viaggio negli abissi della sofferenza e nell'eutanasia della speranza sullo sfondo di una Nuova Civiltà dove gli Uomini dominano sugli uomini in nome della Legge. Un peso insostenibile ma necessario sovrasta lo spettatore, privandolo dopo la visione di ogni via d'uscita e di ogni ragionamento consolatorio, sprofondandolo in un mix di rabbia e di senso di colpa. E allora la sola domanda possibile sta nel chiedersi che tipo di Civiltà sia mai quella in cui la Legge imponga l'odio degli Uomini verso gli altri Uomini. La risposta: una Civiltà in cui l'Uomo si abbruttisce al punto tale da autoconvincersi che esistano dei prezzi da pagare per potersi permettere un regime di Democrazia, del tipo: individuare, poi isolare ed infine disfarsi fisicamente di coloro che non vengono ritenuti funzionali o idonei al Sistema Sociale. Per alcuni sarà un bel film come tanti, magari politicamente corretto nel suo veicolare un bravo messaggio antirazzista, e oltretutto ha anche già incassato un buon numero di premi da festival...ma per altri questo film assumerà significati superiori, ben più impegnativi, perchè va ben oltre i confini di quelle pellicole "emblematiche" che compensano le zone d'ombra delle nostre coscienze zoppe di occidentali...Sto cercando, qui ed ora, proprio mentre riempio di parole uno spazio vuoto, di capire il senso dell'impossibilità di realizzare un Pianeta Felice, in cui ogni uomo abbia diritto ad inseguire la sua Felicità, in cui il virus di questa Felicità venga propagato da uomo a uomo attraverso un semplice sguardo. E invece, siamo qua, ognuno nella sua isola, pronti a delimitare il proprio spazio come fanno certi animali, come fossimo naufraghi circondati dai pescecani. Chissà cosa direbbe Philippe Lioret, sceneggiatore e regista di "Welcome", se leggesse l'universo di emozioni martellanti che mi ha scatenato dentro la visione del suo film...Mi darebbe del matto? Ne sarebbe compiaciuto? Ne sorriderebbe incuriosito? Beh, io credo che bisognerebbe innanzitutto riconoscere a Monsieur Lioret di avere realizzato un film assolutamente unico e necessario, che aiuta gli uomini a guardarsi dentro e a capire le ragioni che impediscono loro di essere Felici. E mi viene il dubbio: e se stessi montando un casino esagerato, utilizzando un fiume di parole inutili per quello che dopotutto è solo una pellicola antirazzista come altre ne sono state girate? No, io resto dell'idea che si tratta di uno di quei film che possono, se non proprio cambiarti la vita, sicuramente costringerti a guardarla con altri occhi. Entriamo nel concreto, partendo dal protagonista (un Vincent Lindon da oscar), in cui mi sono identificato sin dalle prime inquadrature. Lui è Simon, quarantenne istruttore di nuoto, una persona come tante, che potrebbe essere felice, ma, come a molti di noi, gli manca qualcosa. Ciò che, in prima battuta, fa di lui un "uomo dimezzato" è il divorzio in corso dalla moglie Marion (che egli ama ancora). Questa "ossessione d'amore" lo rende opaco ma gli fornisce in compenso, forse, una maggiore sensibilità al dolore, e non solo quello personale, infatti lo dota di una possibilità percettiva in più nello scorgere il dolore degli altri, ed inglobarlo, farlo proprio, conoscerlo per cercare di neutralizzarlo. Simon è un uomo qualunque, ma in lui alberga un'attitudine speciale a combattere l'infelicità, quella propria e quella di chi gli vive intorno. Un'attitudine che vive in un angolo di lui e che non sempre ha modo di esplicitarsi, infatti l'impressione che lui dà di sè è quella di un uomo un pò orso, di poche parole. Finchè un giorno, nella piscina in cui lavora, fa un incontro che gli cambierà la vita. Si tratta di Bilal, 17enne curdo, che insegue la sua Felicità. Quest'ultima ha il viso e le gentili fattezze di Mina, la ragazza che intende sposare e che vive a Londra con la sua famiglia anch'essa curda e, come prevedibile in queste circostanze, con un padre legato ad antichi principi morali di ferro, ai limiti della crudeltà. Dunque abbiamo questi due uomini, diversi per età, stato sociale, nazionalità, cultura; praticamente senza alcunchè che li accomuni, ma in realtà uniti da una comune ricerca della propria Serenità (se Felicità può suonare termine troppo impegnativo). Entrambi identificano quest'obbiettivo in una donna. Bilal sogna di raggiungere, da Calais attraversando a nuoto il mare, la sua Mina lontana, mentre Simon vede ogni giorno di più allontanarsi la sua Marion da cui sta per divorziare. Ciascuno dei due è in cammino verso "qualcosa" che possa renderlo un uomo migliore. Quale insopprimibile bisogno di riscatto può muovere un uomo? E fino a che punto? Nel caso di Bilal, al punto di sopportare dolore, soprusi, umiliazioni. Sì, perchè la sua è una vita ben misera, dovendosi affidare a sordidi trafficanti che ne gestiscono la fuga attraverso l'Europa, in condizioni disumane, verso la meta finale londinese. E allora lo vediamo sopportare di tutto, compreso il viaggiare col sacchetto di plastica che gli avvolge la testa fino a soffocarlo (è un espediente tecnico per sfuggire ai controlli della polizia, che viene spiegato nel film). Poi lo seguiamo mentre si muove in quel girone infernale che è il porto di Calais, dove disperati d'ogni sorta e di ogni provenienza geografica inseguono ciascuno il proprio sogno, da sopravvissuti. Detto per inciso, le sequenze in cui si vedono questi bivacchi notturni nei pressi del porto, con questi poveri cristi d'ogni genere raccolti attorno ai fuochi, sono girate da Lioret in modo MAGISTRALE, e ti comunicano il senso della disperazione di chi ha perduto proprio tutto. Eppure Bilal non si perde mai d'animo, è giovane e pieno d'energia, incassa una batosta dopo l'altra, ma poi si rialza e riparte sempre. E poi, lui ha il suo sogno segreto nel cassetto, di cui ha messo a parte anche Simon procurandogli un sorriso: una volta arrivato a Londra dalla sua amata Mina, farà il calciatore e diventerà una "stella" del Manchester United. Questo nei sogni. E invece nella realtà giorno dopo giorno, umiliazioni e ancora umiliazioni. E nemmeno la mano tesa di Simon lo potrà aiutare se il destino e la crudeltà degli uomini gli sono ostili. Se è interessante per lo spettatore vedere quanto Bilal sia "corazzato" e coriaceo nella sua determinazione, lo è ancora di più assistere alla progressiva trasformazione di Simon. Il suo "toccare con mano" quei problemi dell'immigrazione che fino a pochi giorni prima aveva solo intravisto e giudicato coi toni qualunquisti dell'uomo della strada diffidente e scontroso, lo rende un uomo consapevole della infinita dignità di chi, Legge o non Legge, Polizia o Tribunali, ha comunque il proprio sacrosanto diritto a rincorrere una sua idea di Felicità. E fa una enorme tenerezza vedere questo istruttore di nuoto che acquisisce un coraggio da leone nel difendere Bilal, un coraggio che forse prima d'ora non sospettava nemmeno di avere, tanto che risponde colpo su colpo durante un terzo grado cui lo sottopone un perfido poliziotto (personaggio odioso come pochi). Ma nel contempo tuttavia Simon si fa anche piccolo piccolo e quasi si annienta di fronte alla donna che lo sta per lasciare per sempre e che lui desidera ancora con forza e passione. Ma tornando al Simon che si sorprende del suo stesso coraggio che non sapeva d'avere, beh, questo atteggiamento mi ha riportato ad una situazione pressochè identica di un altro splendido film: chi ha visto "L'ospite inatteso" non può aver dimenticato lo scatto d'orgoglio di quel mite e schivo professore che inveisce contro un poliziotto mentre sta applicando con troppo zelo certe direttive sugli immigrati clandestini. C'è nel film una scena in cui Simon e la sua Marion, ormai di fatto divorziati, vivono un attimo in cui il fuoco della passione sembra riaccendersi in entrambi: è una sequenza che mi ha quasi sconvolto, tanto è ben realizzata e carica di tensione (erotica e umana). Si parte da un gioco di sguardi, proseguendo poi con Simon che appoggia la testa al seno di lei come un bambino in cerca di un rifugio protettivo, per poi concludersi coi sensi che rivendicano la loro naturale liberazione. E a questo proposito devo rendere omaggio alla bravissima Audrey Dana, attrice francese che non avevo mai notato prima, ma che qui mi ha colpito per il suo talento davvero speciale (peraltro accomunata a Vincent Lindon per aver in passato entrambi lavorato in più occasioni con Claude Lelouche). Lei è magnifica nel rappresentare questa donna combattuta fra diversi sentimenti. E non solo d'amore. Sì, perchè lei all'inizio accusa il suo Simon di indifferenza (lei fa volontariato per aiutare gli immigrati clandestini), ma poi assiste sconvolta alla metamorfosi del suo (ex) compagno che arriva a vivere la sua nuova consapevolezza verso il dolore dei più deboli come una specie di ossessione. Un film che raccomando calorosamente a tutti, con l'avvertenza che, con ogni probabilità, quando uscirete dalla sala non sarete più quelli che eravate prima. Questo film nella sua patria, la Francia, è diventato un "caso", ha incassato cifre notevoli, ma soprattutto ha fatto molto discutere (da opposti fronti) sui media. E di quanto ho appena affermato potrete, se vorrete, trovare documentazione su internet. E per concludere, un paio di ultime considerazioni. La prima, che poi è il "succo" della pellicola in oggetto: deve essere chiaro il concetto che chi è meno fortunato di noi ha diritto al nostro rispetto. Attenzione: non ho detto "compassione", ho detto "Rispetto". E infine, se mi è concesso un piccolo sfogo....in Italia, il Paese dei Calderoli, dei Borghezio e dei Castelli (quest'ultimo lo detesto!), il Paese in cui il Governo in carica ha sdoganato gli istinti xenofobi più beceri, questo film ci sarà già qualcuno pronto a definirlo "eversivo". Figuriamoci.
Voto: 10
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