Regia di Andrzej Wajda vedi scheda film
C'è troppa letteratura, troppo teatro e troppo poco cinema in questa ultima fatica del veterano Wajda. Come anche in "Katyn", il maestro polacco adotta l'arrembante estetica del digitale, ma con risultati ben poco soddisfacenti. L'immagine infatti risulta fredda e inespressiva, inadatta ad significare una vicenda potenzialmente melodrammatica, carica di passione ed erotismo sommesso. L'espediente del "cinema nel cinema", inoltre, con tutte le sue pretese autoreferenziali, non solo complica la vicenda, appesantendola e confondendone le trame, ma si rivela anche inopportuno e pretestuoso. Questa prolissa e risaputa storia di un'infatuazione inter-generazionale, così piena di psicologismi e parole, come nei più ostinati Sautet e Rohmer, strappa una tiratissima sufficienza solamente per il concitato finale, in cui la tragedia, il senso di morte mimetizzato dalle grazie della bella stagione, finalmente emerge in tutto il suo pathos disturbante.
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