Regia di Asghar Farhadi vedi scheda film
Un tranquillo week-end di paura. È quello che sperimenta un gruppo di amici iraniani sulle rive del Mar Caspio. E oggi come allora, ci scappa un morto, Elly, in un certo senso l’infiltrata del gruppo, a cui si è aggiunta perché convinta (quasi a forza) da Sepideh, l’unica donna della comitiva a essere dotata non solo di pensiero proprio ma anche di carisma. L’obiettivo, infatti, è tra i migliori: presentare Elly ad Ahmad, di nuovo single dopo un matrimonio infelice, ed eventualmente festeggiare la novella coppia. E in effetti tutti i tasselli del puzzle sembrano incastrarsi alla perfezione, ma la ragazza scompare nel nulla per lasciar posto a zone d’ombra e a verità non dette. Come a dire: chi mente, in particolare al proprio uomo, paga e paga salato. In un caso (quello di Elly), con la vita; in un altro (quello di Sepideh), con l’onore e la rispettabilità pubblica. Ed è per questo motivo che lascia quantomeno perplessi l’Orso d’argento per la migliore regia che Berlino ha tributato ad Asghar Farhadi. Il quale, ripristinando un codice etico convenzionale se non addirittura reazionario (sulla famiglia come sul senso di colpa), sembra fare un balzo indietro rispetto al cinema post Onda Verde che tante speranze aveva infiammato.
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