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Chéri

Regia di Stephen Frears vedi scheda film

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La recensione su Chéri

di ROTOTOM
6 stelle

Oh l’amour, l’amour fou. La Belle Epoque, gli anni venti liberi da costrizioni che non fossero semplici corsetti da sciogliere con garbo, epoca dalle forme sinuose delle arti e delle sue donne di piacere. Le passioni che covano sotto la chioccia di gonne fruscianti, colorate, morbide. Gli inchini pomposi e la galanteria sofisticata figlia della piena consapevolezza del piacere e di un pubblico pudore compiacente, gaudente, sfrontato quanto ironico e sottilmente perverso. Epoca che ha in sé il gusto romantico dell’abbandonarsi decadente all’amore come se fosse l’ultimo anelito di una vita vissuta così, per caso. Ma anche con gusto ed eleganza.

E comunque essere belli e ricchi sfondati, oltre che giovani, ha sempre avuto il suo fascino in qualsiasi epoca umana, preistoria a parte.

L’opulenza visiva e scenografica del periodo si addice a Stephen Frears che torna sul luogo del misfatto de “ Le relazioni pericolose” giocando con gli ardori mai sopiti di arzille donne di piacere giunte chi più chi meno, alla fine dell’onorata attività in cima alla scala sociale del tempo.

Elegante e raffinata la messa in scena di questo leggero dramma d’amore in cui il bello e maledetto Chèri offre il suo giovane corpo alla bellissima ed ancora in attività Leà (Michelle Pfiffer) dal quale assapora i profumi e le sensazioni di una gioventù  che le sta inesorabilmente narrando le proprie memorie segnandole il volto. Si può fuggire da tutto ma non dal tempo che scandisce il susseguirsi della commedia umana e sempre, chi si è avventurato nello sfidare impunemente questa regola ha finito per pagare molto alto il prezzo della sua avventatezza.

Cheri, il bel giovane amato dalla bella Leà è un Dorian Gray, il dissoluto che rimane sempre giovane, sembra, l’agile fauno che scontroso rifugge la propria natura mortale per inseguire una vana, decadente idea di felicità nutrita dall’amore incondizionato della donna, un po’ amante, un po’ madre, un po’ tutrice.

Leggerezza e ironia sono le caratteristiche del film di Frears, la ricchezza degli ambienti e la magnificente complessità degli abiti che talvolta esonda  consapevolmente nel grottesco, testimoniano di una società costruita tuttavia sul vacuo scivolare sui sentimenti e sul dolore della loro perdita, consolata dagli agi della ricchezza conquistata letto dopo letto. Epoca luminosa come la fotografia scintillante e grassa di colori e contrasti, quanto calda dei momenti intimi,  che da lì a poco verrà spazzata via dalla cupezza della guerra.

Piccolo film, comunque, prezioso come un cammeo, quasi tutto d’interni e d’attori come si conviene ad un film tratto da romanzo romantico di inizio secolo (Sidonie Gabrielle Colette, 1873-1954), frivolezze linguistiche e battibecchi arguti quanto sottilmente taglienti  sono il pepe sull’ elegante e secco tramonto della Belle Epoque sublimati nella splendida prova di Michelle Pfiffer, al cui tramonto presta il viso a far da sole che piano piano scompare all’orizzonte, come ha visto   la sua giovinezza farsi crepuscolo  negli occhi del suo amato.

Da segnalare anche la strepitosa prova di Cathy Bates, sospesa tra il dolciastro sentimentalismo e la perfida doppiezza, nel ruolo di Madame Peloux, l’amica/rivale di Leà.

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