Regia di Enzo Monteleone vedi scheda film
Quello che salta all'occhio dopo pochi minuti è l'impianto teatrale di questo film. La scena che gira attorno a quattro amiche talvolta velenose che raccontano a turno i loro insuccessi d'amore e il loro dovere di mogli e di madri, ci fa capire subito che tutto resterà fermo e immobile in quelle tre stanze e lì si consumerà tra una confidenza e l'altra tutta la storia.
Guardandolo così, di primo acchito, ero un po' indispettito. Il cinema ha un suo linguaggio, il teatro ne ha un altro. In un film i personaggi non raccontano a tavola le loro sventure, ma mentre le raccontano le rivivono. L'uso del flash back o in alternativa una struttura rielaborata della storia che ci racconta prima la vita delle quattro mamme nella sua quotidianità e poi ce le ripresenta intorno a un tavolo a svelarci il dolore atroce che si nasconde dietro quella vita normale avrebbe fatto di questo film un prodotto più cinematografico.
Invece il regista fa una scelta coraggiosa: decide che la storia si muoverà sul copione e non nella scena. Questo comporta un'incredibile abilità alla regia, nell'uso del carrello e nell'introspezione dell'anima dei personaggi attraverso l'uso dell'obiettivo e un consapevole dialogo realizzato tra campi medi e primi piani e una profondità di campo che focalizza l'azione e sullo sfondo lo strascico dell'azione precedente. E tutto questo deve essere calibrato affinché, come mi è capitato di leggere di recente nell'opinione di ico su Mangiata viva, la regia non entri in competizione con gli attori, ma sappia restare un passo indietro e accompagnare e avvalorare il talento degli interpreti.
Monteleone secondo me riesce benissimo in questa impresa, attento ai particolari dei volti delle sue otto protagoniste, alle dinamiche che tra di esse si creano, facendogli ripercorrere percorsi diversi, ma simili fino a mostrarci nelle figlie lo specchio riflesso (e quindi l'immagine opposta) delle madri.
Le attrici sono tutte straordinarie e in questo film hanno modo di dare prova del loro talento artistico: non c'è altro su cui si possa poggiare questa storia. Tutto è immobile, il racconto viaggia su un copione forte, curato dalla stessa Comencini che ha scritto il libro da cui è tratto il film, e sull'interpretazione delle protagoniste.
Stona, a mio avviso, l'ingresso di Carolina Crescentini, esuberante e un po' sopra le righe, ma rientra subito in uno stile più vero e sommesso, tanto che si può apprezzare la sua interpretazione al pari delle altre.
Infine c'è una scenografia che è chiave e che racconta, oltre la recitazione e la regia, il dramma di una vita solitaria. La casa in cui tutto si svolge senza che succeda nulla e che occupa tutta la pellicola, cede per pochi minuti il suo protagonismo a un cimitero. Fuori di essa c'è solo la morte e la vita, per quanto isolata e abbandonata, è viva solo dentro le mura, nell'intesa femminile, nella vacuità di una partita di carte che è il pretesto per confrontarsi e raccontarsi la vita.
La prima "partita" si ripresenta così modificata, svuotata, nella seconda. Più asettica, con colori freddi (questa è stata la mia impressione), un bianco dominante, torna a raccontarci la storia dell'inizio sotto altre vesti. L'influenza delle madri ha spinto le figlie a costruire rapporti con una consapevolezza più problematica. Forse come dice Beatrice nella prima parte, c'è ancora la speranza che le cose cambieranno; ma anche se in parte sono cambiate, le dinamiche sono le stesse. L'uomo e la donna, lo dice bene il pensiero di Rilke, devono trovare il modo di unire i loro mondi e di comunicare al di là degli sterotipi che ci impone la società, devono riconoscere in sé due solitudini che possano proteggersi e avvicinarsi, rispettarsi e contenersi a vicenda, questa è la speranza di cui parla Beatrice, una speranza che esprime a parole e che solo nel finale del film (questo un po' scontato) riuscirà a essere ripresentata nelle parole originali del poeta attorno a cui gravita tutta la storia:
"Questo progresso trasformerà l'esperienza dell'amore, che adesso è piena d'errore, la cambierà dalla radice, la muterà in una relazione che è intesa da uomo a uomo, non più da maschio a femmina. E questo amore più umano (che si compirà infinitamente attento e lieve, e buono e chiaro nel legare e sciogliere) somiglierà a quello che noi lottando e con fatica andiamo preparando. L'amore che consiste in questo: che due solitudini si proteggano, si limitino e si inchinino l'uno dinanzi all'altra."
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