Regia di François Ozon vedi scheda film
A Ozon interessa mettere a fuoco una condizione umana, l’aspirazione alla libertà, che si manifesta prepotente già nel bambino, insieme al suo bisogno d’amore, impulso preverbale, prerazionale, connotato di base dell’essere umano, che solo un amore super-umano (e quello di una madre lo è) può tradurre in realtà.
UN ANGELO “TELECOMANDATO” potrebbe essere il titolo di questa fiaba,e come tale va letta, contenendo tutti i meccanismi dello schema di Propp rivisitati in chiave post-moderna.
Equilibrio iniziale (inizio):la protagonista, Kate,operaia, abbandonata dal compagno, vive con la figlioletta Lisa una vita grigia e depressa di periferia, illuminata un bel giorno dall’arrivo del nuovo amore, sentimentalmente e sessualmente abbastanza travolgente, Paco, conosciuto in fabbrica (o laboratorio, pare di prodotti chimici)
Rottura dell'equilibrio iniziale (movente o complicazione): nascita di Ricky e abbandono della casa da parte di Paco, accusato ingiustamente da Kate di picchiare il bambino a cui compaiono strani ematomi sulle spalle, all’altezza delle scapole
Peripezie dell'eroe: nascita delle alucce al bambino al posto delle scapole,tentativo fallito della donna e della bambina di nascondere il fenomeno alla vorace curiosità della gente e dei media, rivelazione casuale del fatto e vicissitudini successive, fino alla scomparsa nel cielo del bambino volante
Ristabilimento dell'equilibrio (conclusione): al culmine della tensione narrativa la madre, distrutta dalla perdita del figlio,sull’orlo del suicidio, lo recupera idealmente in un gesto d’amore che consiste nel rispettare la sua libertà.
La struttura del film si modella dunque sulla tradizione millenaria del racconto fantastico e il plot, traendo ispirazione dal racconto “Moth” di Rose Tremain, resta dentro confini abbastanza lineari, quasi un abbozzo con rapide pennellate perchè il focus è lui, il bambino volante (al supermercato c’è chi grida “telecomandato”!) a cui pian piano le alucce (sembrano di pollo all’inizio) diventano grandi e quasi angeliche alla fine.
A Ozon (non dimentichiamo il suo Angel) interessa mettere a fuoco una condizione umana, l’aspirazione alla libertà, che si manifesta prepotente già nel bambino, insieme al suo bisogno d’amore, impulso preverbale, prerazionale, connotato di base dell’essere umano, che solo un amore super-umano (e quello di una madre lo è) può tradurre in realtà.
L’allegoria prende quota a metà film, nasce su un terreno di solido realismo visivo, fatto di interni ed esterni da banlieu, quinta di fondo di gesti e volti di ordinaria umanità e ordinarie storie di sentimenti e paure.
L’evento fiabesco si incastra su tutto questo in modo naturale e con naturalezza è vissuto dai protagonisti.
Per la piccola Lisa, troppo giudiziosa per i suoi pochi anni, è l’ingresso in un mondo fantastico in cui dimenticherà la solitudine e la paura del buio, per Kate è la scoperta di una identità mai fino ad allora vissuta come modo del suo essere donna.
Forse nella realizzazione filmica il tema perde spessore (rischioso, del resto, dare forma visiva e sonora a temi che la filosofia morale esplora da millenni), ma il tentativo è più che apprezzabile e il bambino che vola sul lago riempiendo l’aria di risate felici è abbastanza impagabile, riconcilia con qualche scucitura qua e là.
Ricordare Loach o Cantet, Truffaut se non addirittura il Polanski di Rosemary’s Baby è forse dare al film quello che non chiede.
Capita che le fiabe abbiano ascendenze colte, si sa, ma quel che poi le rende eterne non capiremo mai cos’è, sarà che parlano di noi più di ogni altra cosa, e continueremo a saperle senza neanche averle mai lette.
www.paoladigiuseppe.it
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