Regia di François Ozon vedi scheda film
Davvero un film inconsueto, originalissimo, spiazzante. Anche per me che non sono un conoscitore della cinematografia di Francois Ozon, regista stimato ed apprezzato -a quanto mi risulta- da gran parte dei cinefili. Il film cattura l'attenzione per molteplici motivi, primo fra tutti il non appartenere ad alcun genere, o meglio l'attraversare più generi senza mai calarsi definitivamente in alcuno di essi, sotto il segno di una destabilizzante leggerezza, la quale teoricamente farebbe a pugni con certi momenti drammatici del racconto, ma che qui avvolge le vite, pur tormentate, dei protagonisti fino a trasformare l'ansia in serenità. Lo so, è difficile da raccontare una storia come questa, che unisce ad una sceneggiatura bizzarra come poche altre uno stile registico personalissimo. Comunque la si pensi, anche nell'ipotesi (e può succedere) che la trama generi qualche perplessità, il film è indiscutibilmente sorprendente e interessante, dunque meritevole di una visione. Immaginatevi un inizio in cui facciamo conoscenza, in circostanze piuttosto drammatiche (lei chiede aiuto perchè da sola non ce la fa più a gestire gli impegni famigliari), con la protagonista. Ed è un gran bel personaggio: una madre operaia che ha cresciuto da sola la giovane figlia, una donna la cui vita è piuttosto grigia, una di quelle famiglie che (come tante, solo che il cinema se ne occupa troppo poco) spesso non ce la fanno ad arrivare alla fine del mese accumulando rate arretrate da pagare...una sorta di Angelo Proletario, la nostra Katie...un personaggio che ricorda certe donne di Ken Loach e che piacerebbe sicuramente ai Dardenne, e infatti l'inizio impregnato di realismo sociale ricorda molto lo stile asciuttissimo dei Dardenne, con la descrizione essenziale della giornata tipo di Katie, soffocata tra la odiata fabbrica e gli impegni casalinghi, sognando l'amore (anche quello fisico, certamente) che le manca da anni, da quando il marito piantò in asso lei e la bambina. Poi, le cose succedono da sole, come spesso accade, senza bisogno di andarsele a cercare. Ed è così che un nuovo collega di lavoro, un operaio di origine spagnola, si interessa a lei, nasce una reciproca attrazione e i due finiscono a convivere, nonostante la piccola figlia di lei -ragazzina estremamente sensibile- fatichi non poco ad accogliere la "new entry" in famiglia. Fin qui, assistiamo ad un racconto piuttosto ordinario, di impianto classico, ma narrato molto bene, coi sentimenti giusti messi in primo piano e che vanno perfettamente incontro ai sentimenti dello spettatore, coinvolgendolo felicemente a livello emotivo. In platea, infatti, tutto il pubblico fa idealmente il tifo per Katie, si immedesima, e vorrebbe tanto che lei vivesse una vita migliore, che trovasse finalmente amore e serenità...E l'arrivo di Paco sembra essere proprio quello che ci voleva, lui è affettuoso e cerca di stemperare e "normalizzare" l'irrequietudine ombrosa della figlia di lei. E qui il film esaurisce la sua prima parte. Discrimine fra le due "anime" della pellicola è la nascita di un figlio. Quando Ozon ci introduce alla fase successiva, diciamo così quella horror-fantasy, lo fa con una leggerezza tale e con un tocco talmente lieve, che il pubblico dapprima fa un pò fatica a sospendere la propria incredulità di fronte ad una svolta clamorosamente inverosimile, ma poi ne prende atto e si fa una ragione che il film lasci perdere il realismo sociale "alla Dardenne" per inoltrarsi nella favola surreale. E nelle fiabe può accadere di tutto, perfino (e non è uno spoiler, ne stanno parlando tutti i giornali di questa curiosa sceneggiatura) che al piccolo appena nato spuntino due minuscole ali che ogni giorno si sviluppano, fino a permettergli di spiccare il volo. E questa è la svolta "definitiva" del film, che peraltro determina nello spettatore dapprima uno sconcerto di fronte a questo "effetto-Cronenberg" che lo induce a vedere il piccolo come esito di un parto mostruoso, ma poi subentra il prevalere dello spirito leggero che Ozon ha voluto imprimere alla sua pellicola. Come se la realtà dura di ogni giorno si fosse trasformata in un sogno ad occhi aperti in cui può accadere davvero di tutto e dove la ragione e l'analisi critica non hanno più alcun peso. Quel bambino volante diventa dunque suprema metafora ed estremo simbolo di Libertà. Indimenticabile la sequenza in cui madre e figlia vanno al supermercato tenendo il piccolino ben fissato dentro una carrozzina; solo che, approfittando di un attimo di distrazione, la creaturina fugge dall'abitacolo e si mette a svolazzare, suscitando l'ilarità e lo stupore eccitato dei numerosi clienti presenti (un signore chiede perfino a una commessa "Scusi, dov'è che vendete i bambini telecomandati come quello??") e scatenando un incredibile parapiglia. Naturale e scontatissimo che, appena si diffonde la notizia dell'esistenza di un simile "freak", i media ci si buttano a pesce, alla ricerca di reportage esclusivi, con avidità e prevedibile cinismo. Ma a questo punto credo sia opportuno che mi fermi, perchè siamo alle soglie dell'ultima fase, quella che porta alla conclusione. E che è, peraltro, la fase che potrebbe destare qualche perplessità intorno alle scelte di sceneggiatura. Confesserò allora il mio punto di vista in proposito. In me si è insinuata l'impressione che Ozon, dopo aver messo a segno una sceneggiatura intrigante e dopo aver magistralmente realizzato questa geniale trasfigurazione dal realismo quotidiano alla fiaba onirica, abbia avuto qualche difficoltà a trovare un finale all'altezza. E allora ha fatto la scelta (discutibile e soprattutto confusa) di concludere con un non-finale, che vede ristabilirsi la piena serenità in famiglia, come se ciò fosse dovuto ad un evento che però non viene mostrato (o che io non ho capito...). E mi piacerebbe confrontarmi su questo punto con coloro che hanno visto il film. Il cast è formidabile. Il padre è un sornione (e anche un pò "orso") Sergi Lopez. Ma la vera mattatrice è una straordinariamente brava Alexandra Lamy, che fa di questa ansiosa madre proletaria una figura da antologia del Cinema: commovente, credibilissima, davvero una superba performance, la sua. Ma non dimentichiamoci del poppante, Ricky, (nella vita vera si chiama Arthur), che nella sua inconsapevole spontanea genialità espressiva è così buffo che viene voglia di coccolarlo. Si esce dalla sala piacevolmente consapevoli di aver visto un film originale e "diverso", ma anche accompagnati da domande e perplessità sul senso dell'opera. Ricky è davvero, come parrebbe scontato, emblema di tutti i "freaks" del mondo e dunque siamo dalle parti della parabola sull'accettazione del diverso? E quel non-finale onirico, alla fine cosa rappresenta? E se -sotto sotto- si nascondesse un messaggio anti-abortista? E se fosse solo un divertissement di Ozon che si prende gioco di noi istillandoci interrogativi creati ad arte? Chissà. In ogni caso il fatto che il film smuova tutti questi dubbi ne decreta l'assoluta mancanza di banalità.
Voto: 9/10
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