Regia di Lee Daniels vedi scheda film
Va bene il cinema verità. Potrebbe passare anche l’idea, anche se molto lontana, rispetto a questo film, di cinema indipendente. Ma non si possono concentrare in un film tutti i mali (questi si, veri) dell’umanità. Il risultato è poi quello di Precious, opera seconda di Lee Daniels, ispirato ad un romanzo di Sapphire, ma un film-inno alla retorica.
In breve, la sedicenne Precious vive sulla propria carne l’accanimento di tutta una serie di calamità, dall’obesità, la sua crescita ad Harlem con una madre allo sbando e un padre violentatore, alla solitudine. A cui si aggiungono due gravidanze indesiderate, una delle quali le regala una bimba affetta da sindrome di Down, il cui nome è Mongol… Si aggiunga ancora la possibilità finale, per Precious, di essere affetta anche dal virus dell’Hiv.
Più che una valle di lacrime, quello descritto nel film è un oceano di disgrazie, raccontato con moto lento e perpetuo, affidato agli angoscianti e noiosi, perché eccessivi, monologhi interiori di Precious, che utilizzano spesso nel medesimo modo il condizionale e al presente, che si intervallano con i sogni di celebrità, fra le luccicanti star del cinema e della musica, da American Idol all’America’s got talent. Questi rappresentano vere e proprie sincopi ritmiche narrative perché s’insinuano sempre al culmine della drammaticità e dell'insostenibilità del racconto. Il forte rischio è il rigetto.
Senza dubbio Precious è una figura che difficilmente si può dimenticare, ma non per la bravura della giovane attrice, che continuamente dispensa solo estasi ed apnea, aggiudicandosi la nomination agli Oscar: la maschera è sempre quella, dall’inizio alla fine del film, a cui si strappano lacrime, inevitabili.
In realtà, il maggior problema di Precious sta nella sceneggiatura, nonostante la vittoria degli Academy Awards per la migliore sceneggiatura non originale, che sovrabbonda sulle pedanti strade del degrado, descrivendo, alla fine, un percorso di liberazione dalla gabbia famigliare e sociale che si risolve con eccessiva facilità. Precious eccede in vizi visivi tipicamente americani, avvitandosi su se stesso e godendo di una certa visione bulimica fatta di inquadrature strambe, dettagli di corpi, sporcizie cromatiche e sonore che risultano troppo indigeste. Un film indipendente che annovera nel cast anche una Mariah Carey senza lustrini, e addirittura Lenny Kravitz, infermiere premuroso.
Ci si risveglia dopo centonove minuti al buio, sentendosi un po’ tutti ‘donna cannone’, ma con la facile soluzione di poter dire che “butterò questo mio enorme cuore tra le stelle […] in faccia ai maligni e ai superbi il mio nome scintillerà”. E tutto apparirà così facilmente precious, prezioso.
Giancarlo Visitilli
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