Regia di Lee Daniels vedi scheda film
La sedicenne Precious Jones, protagonista del lungometraggio di Daniels tratto da un racconto di Sapphire, è la prova vivente della capacità di sopportazione dell’essere umano: abita fra i tossici nel degrado di Harlem, è obesa, il padre sieropositivo l’ha resa madre per due volte, la sua di madre, gelosa di lei, la schiavizza e insulta, la scuola la respinge, non ha amici, eppure, allo stesso modo di migliaia di adolescenti in situazioni più o meno tragiche, tace, china la testa e va avanti giorno per giorno fantasticando e ingozzandosi di cibarie insane. Precious perseguitata dalla sventura è un’iperbole esemplare di come una società iniqua tramite una suadente subcultura edonistica educhi all'acquiescenza inerte coloro a cui non concede opportunità: il miraggio abbagliante di una passerella mediatica e le mense straripanti a poco prezzo di McDonald regalano un effimero ed illusorio istante da regina a chi è serva. Tuttavia la straziante storia di una qualunque ragazzina sgraziata umiliata nella sua stessa casa può ribaltarsi nella favola di Cenerentola: siamo però nella New York del ventunesimo secolo e il principe azzurro ha le vesti dimessamente eroiche di una appassionata docente di una scuola sperimentale fiduciosa nelle virtù terapeutiche di una maieutica ad uso delle giungle metropolitane. Gli schermi ci hanno abituato ad aule nelle quali una pedagogia astrattamente ottimistica in mano ad insegnanti missionari e carismatici sottrae al baratro dell’analfabetismo esistenziale alunni condannati in partenza; qui comunque l’attenzione rivolta a un caso davvero disperato consente di mettere in rilievo, nella contrapposizione fra subcultura e istruzione anche affettiva, l’efficacia di quest’ultima nel trasformare un corpo tumefatto in personalità autonoma nelle scelte. Nella vittima adolescente la capacità di sopportazione diventa a quel punto forza di reazione, per quanto i presupposti del percorso lo rendano didatticamente lineare senza spigolature. La galleria di orrori messa in scena del resto non cerca alibi pretestuosi per chi perpetra crimini familiari per egoismo: nati nel ghetto o nei quartieri borghesi, si è innocenti o colpevoli, ci si perde o ci si salva per il coraggio della volontà. L’importanza sia nel tuo sguardo non nella cosa guardata, diceva Gide. mio blog:“http://spettatore.ilcannocchiale.it
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