Regia di Mia Hansen-Løve vedi scheda film
Con quest’opera, Mia Hansen-Løve realizza il cinema dei momenti, che si susseguono secondo il filo discontinuo del tempo, e si chiudono improvvisamente, prima di risolversi in un atto decisionale, in un sentenza conclusiva. Il racconto è sfuggente e frammentario, privo di vera logica e di incisività, esattamente come lo è il carattere di Victor, la cui instabilità psicologica ed affettiva è il motore silente di tutta la storia. Il suo andare e venire, nel rapporto con la compagna e la figlia, è quasi una metafora dell’azione del tempo, che progressivamente crea le distanze per poi, lentamente, cancellarle. È la natura del tempo, in definitiva, la remota origine di ogni incoerenza, è colpa sua se, nell’esistenza, ogni ricerca di una spiegazione complessiva è vana. Per questo, forse, la narrazione si concentra, ad ogni istante, sul presente dei vari personaggi: e così Victor, nella terza parte, racconta alla figlia tutto ciò che lo spettatore già ha visto, ma che la ragazza, allora bambina, non può ricordare. “Tutto è perdonato” dimostra che nella vita tutto può cambiare perché l’uomo è, in fondo, sempre lo stesso: soggetto all’imperiosa suggestione del “qui e adesso”, con una memoria debole, che è la complice ideale del lavorio del tempo.
Non ci sono commenti.
Ultimi commenti Segui questa conversazione
Commenta