Regia di Steven Soderbergh vedi scheda film
Bere il succo d’arancia a colazione è come mangiarsi una pannocchia. Non è un paradosso. Solo che il fruttosio dei succhi deriva dal mais, a volte geneticamente modificato, o forse no. Lo racconta Mark Whitacre, ex biologo passato al commerciale di una multinazionale del grano. Un personaggio esistente. O forse no. Un giorno decide di denunciare all’Fbi la nascita di un cartello di corporation che vorrebbe tradire il principio base del capitalismo, vale a dire la concorrenza. A scapito dei consumatori, of course. Ha un sacco di prove, il nostro Mark. O forse no. Magari è solo matto. Anche i più spietati detrattori di Steven Soderbergh gli riconoscono una dote: nel fare film è estremamente eclettico. Questa volta ambienta la sua storia tra il 1992 e il 2002, ma la immerge in colori, acconciature e spazi alla Mad Men, il serial sui pubblicitari anni 60. L’effetto è straniante, e vuole essere tale. I primi quaranta minuti di The Informant! girano a vuoto come spesso il cinema del regista; la soluzione dell’intreccio, la costruzione dei caratteri, la sottile linea rossa che separa manipolazione e follia, invece, alla lunga sono quasi geniali. Il senso è che tutto è senza senso. Onore delle armi, dunque. Non è importante capire se Whitacre, reso benissimo dall’imbolsito Matt Damon, sia un onesto Candide, uno schizofrenico irrecuperabile o semplicemente un campione della truffa. Tanto il gioco di svelamento dei meccanismi commerciali, politici, economici è talmente fuori di testa da risultare maledettamente serio. Non siamo lontani da Capitalism: A Love Story di Michael Moore, anche se il modello più diretto resta Burn After Reading dei fratelli Coen. Senza i fratelli Coen ma ancora con George Clooney, qui presente come executive. Tra le finezze, la colonna sonora di Marvin Hamlisch, che cita se stesso come autore dello score di La spia che mi amava mentre Whitacre si spaccia per l’agente 0014, che vale il doppio di 007.
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