Regia di Götz Spielmann vedi scheda film
I titoli di testa si susseguono su una placida inquadratura silente e fissa, un tranquillo laghetto alpino circondato di conifere, e la superficie dell’acqua improvvisamente rotta dal cadere concentrico di un “qualche cosa”. Solo verso la fine, si scoprirà che quel qualcosa era la pistola con cui il protagonista intendeva consumare la sua “Revanche”, e solo dopo la fine si potrà individuare forse l’unica pecca di questo film, commessa nel voler cucire una “coda” improbabile e poco chiara dopo la scena che, a mio avviso, doveva chiudere il film lì dove si era aperto, cioè nell’attimo in cui il protagonista gettava la sua pistola nel lago (mi ero già ritirato su dalla poltrona, convinto appunto che il film terminasse lì, invece il regista ha voluto aggiungere più o meno altri cinque minuti a mio avviso superflui e tutto sommato disturbanti, cinque minuti che cercano di spiegare ciò che poi in realtà non spiega, di aggiungere motivazioni che rimangono comunque sopite e che sarebbero splendidamente affondate per sempre insieme a quella pistola. Ma ciò toglie, per fortuna, poco o nulla a questo bel film.)
Passati i titoli di testa, ci viene subito fatto omaggio di una splendida Irina Popatenko in versione adamitica (che nella sua bellezza semplice, mi sia consentito, è proprio una gran sventola! Peccato perderla nel secondo tempo….), e la storia si trasferisce nel grigiore rosso cupo di un bordello viennese, in un’atmosfera stagnante ancor prima che squallida, che si alternerà con i maestosi paesaggi alpini di un paesino austriaco dove si consumerà la vicenda: la rapina, il suo esito drammatico, e soprattutto le tragedie che si consumano nelle coscienze del protagonista e del poliziotto, il primo gettarsi a capofitto a spaccare legna nel tentativo di sfogare (o coltivare?) la rabbia, il secondo, ossessionato dalla sua involontaria colpa, auto-imprigionarsi dentro la fotografia della ragazza uccisa, trafugata in commissariato, nell’impossibilità di condividere con la moglie e con la famiglia la propria devastante angoscia.
Il film trova in alcuni snodi molto ben inseriti nella sceneggiatura (tutti nel secondo tempo) il suo punto di forza: l’improvvisa e inaspettata reazione della moglie del poliziotto all’ostilità verbale e violenta del protagonista, al cui invito a sparire risponde con una inaspettata proposta di piccanti notti di sesso, spezzando le logiche e creando abilmente quello iato in cui troveranno spazio gli esiti della vicenda, e l’incontro fatale del protagonista e del poliziotto, sulle rive del lago, dove i drammi interiori dei due si annulleranno a vicenda.
Nel finale, il restare incinta della moglie del poliziotto (presumibilmente incinta del rapinatore) conferisce un tocco al tempo stesso spietato e sublime alla storia, dove il rinascere di una creatura umana simboleggia il risorgere dai propri errori e dalle proprie brutture, comunque si siano generati, e l’accettazione degli eventi forse non felice, forse non completamente serena, ma consapevole e placida: la coppia festeggierà con una cena romantica il lieto evento della maternità tanto attesa e il rapinatore, senza neppure aver messo mano ai soldi della rapina, chiuderà il cancelletto di legno della modesta fattoria dello zio, caricandosi un pesante cesto di mele appena raccolte.
Un film non certo per il grande pubblico, forse per palati un po’ fini e abituati alle frequentazioni con l’essai, solo apparentemente noioso (la mancanza totale di musiche, a parte il lamentoso organetto del vecchio zio, contribuisce alla rarefazione), certamente austero, molto osterreich, con un palmares invidiabile di riconoscimenti festivalieri e candidato anche come milgior film straniero ai prossimi Oscar 2010 (ove dubito possa vincere, per quanto nella notte degli Oscar tutto è possibile…). Da vedere.
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