Regia di Karey Kirkpatrick vedi scheda film
La magìa del cinema sta anche in questo, nel saper parlare direttamente al cuore di chi sa ascoltare. Naturalmente l'incisività del messaggio varia a seconda della disponibiltà delle persone a recepire il medesimo, e dunque può capitare che la gran parte dei critici veda in questo film solo un concentrato di moralismo di matrice disneyana, mentre per il sottoscritto l'interesse di questa pellicola va ben oltre il campionario di banalità buoniste delineato in quasi tutte le rensioni fino ad ora pubblicate. Anche perchè poi, oltre ad essere ben fatto, il film è riuscito a toccare certe corde mie personali in modo delicato ma importante. Mi riferisco al tenerissimo rapporto tra padre e piccolissima figlia, qui descritto in modo sapiente e coi toni giusti, che è riuscito a raggiungere e stimolare certe mie inquietudini latenti e parzialmente inconsapevoli circa un mio istinto paterno che, evidentemente, alberga in qualche parte della mia personalità e che -fino ad ora- non ha ancora trovato la possibilità materiale di esprimersi, visto che il ruolo del padre non mi è ancora stato assegnato in sorte. E infatti, durante la visione, sono stato ad un passo dal cascarci di nuovo: osservando certi meccanismi e certe reazioni emotive della piccola protagonista ho corso il rischio di commuovermi (cosa di cui certo non mi vergogno, ma verso la quale ho ultimamente una tendenza forse eccessiva al cinema). Dunque, questo film da tutti accusato di "facile morale disneyana", è invece a mio avviso un ottimo prodotto di intrattenimento, oltretutto confezionato benissimo, dotato di dialoghi che funzionano e di una valida sceneggiatura che ne rendono gradevolissima la fruizione. E, checchè ne dicano i detrattori, il film rifugge da quegli espedienti narrativi che lo renderebbero, quelli sì, un'opera furbetta e ruffianotta. Questa è la mia opinione, che non intende certo convincere la moltitudine di persone (in ambito critico) che pare volerla liquidare senza appello come pellicola buonista tout-court. La trama, il senso generale che essa implica, nonchè il pensiero essenziale veicolato dal film, non sono certo originali, ma qui nessuno ha la pretesa di asserire l'originalità di sentimenti eterni ed universali quali l'affetto, la tenerezza, l'amore che lega un padre alla figlia. E' vietato parlare di queste emozioni, per caso? Non credo, soprattutto se lo si fa con dignità e anche -non c'è niente di male- ricorrendo ad una buona dose di "mestiere". E ancora (e con questo concludo la mia "arringa difensiva") per fortuna che sopravvive una commedia americana che sa essere divertente senza nemmeno un briciolo di quella volgarità che ormai sembra il pepe irrinunciabile di tante (troppe) commedie americane una più scema dell'altra. Questo film rappresenta, prima di ogni altra cosa, uno straordinario, totale, motivato, definitivo ed inequivocabile TRIBUTO ALLA FANTASIA di tutti i bambini del mondo. A quella purezza ed innocenza che sono motori di ricerca di una realtà "altra", finalmente non supportata da quelle logiche di convenienza che accompagnano ormai ogni scelta quotidiana, anche minima, di noi adulti. Noi, che scompaginati e destabilizzati dal perdurare della crisi economica, ormai non siamo più capaci di ascoltare quella voce di bambino che grida dentro di noi il proprio diritto ad esistere. E che, in molti casi, potrebbe invece esserci molto utile a recuperare quella serenità interiore che potrebbe contribuire alla cosa più importante di tutte: stabilire finalmente nelle nostre vite inquiete un sacrosanto ridimensionamento dei nostri valori, una nuova scala che preveda un riposizionamento di tali valori, nel cui ambito il lavoro non possieda più quell'aspetto totalizzante che è -credo- alla base dell'infelicità. Vediamo ora di sintetizzare la vicenda. Classica famiglia americana "moderna", con genitori separati e una piccola bambina che ovviamente soffre e paga le conseguenze di questo "sballottamento". Lui è un affermato operatore della finanza, lanciatissimo e "gasato", tipico esponente di quella razza di esseri fanatici che sono l'emblema stesso del turbocapitalismo. Gente per cui il Lavoro è una Religione. E la Borsa ne è il totem da adorare e a cui offrire sacrifici. Ovviamente la competizione è durissima con gli altri colleghi, e lo diviene ancor di più nel momento in cui il cammino del nostro Eddie Murphy s'incrocia con quello di un altro operatore che ammazzerebbe anche la mamma pur di fare le scarpe al collega. Fra l'altro, a proposito di questo "rivale", si tratta di un pazzo esaltato che si ispira a deliranti teorie new-age che, al di là dell'enfatica teatralità con cui vengono espresse, sono in realtà pure minchiate. Lo stress da lavoro è dunque per Eddie pane quotidiano, al punto tale che occuparsi della piccola figlia diventa per lui quasi un impiccio. Chiaro che le vuole bene da morire, ma siccome il lavoro è qualcosa che sta divorando in modo abnorme la sua vita, gli riesce davvero difficile gestire quella complessità che -ordinariamente- accompagna il processo di crescita di una piccola bambina. La quale non è un'aliena, o una personalità necessariamente "problematica". No, lei come tutti suoi coetanei/e vive in un mondo proprio, fatto di istinti infantili, di giochi, di personaggi suggeriti dalla propria fantasia. Ed è un aspetto della sua personalità che chiede rispetto e attenzione. E siccome il padre non sembra concederle nè l'uno nè l'altra, ecco che la piccola mette in atto un meccanismo difensivo di estremizzazione dei suoi comportamenti anomali per attirare l'attenzione, il che peraltro è la cosa più logica del mondo. A quel punto, la vicenda prende una piega davvero singolare che è poi il cuore stesso del film, ma su cui non intendo fornire dettagli per non svelare troppo. Mi limito a segnalare che alla fine sarà la bambina ad aver insegnato a vivere al padre, il quale uscirà arricchito da questa esperienza, nonchè profondamente cambiato nello spirito con cui affrontare il lavoro. Come prima accennavo, si delinea quindi nel finale una netta vittoria della fantasia dei bambini che, unita alla loro purezza così nemica di calcoli ed ipocrisie, anche se non salverà il mondo, contribuirà sicuramente a migliorarlo. E a questo punto possiamo scatenarci parlando dei due protagonisti. E qui devo dire che, pur non essendo mai stato un fan accanito di Eddie Murphy, confesso però che da quando il suo mito si è sensibilmente appannato e si è avviato il suo declino, l'uomo mi appare molto più simpatico. A fronte dell'altra star afroamericana che lo ha decisamente soppiantato nei cuori dei fans americani (Will Smith, ovviamente) devo dire che Smith mi appare sempre più "perfetto" e inattaccabile nella sua totale versatilità che però mi puzza sempre più di "gigionesca vanità", mentre dall'altra parte abbiamo un Murphy che pare lottare strenuamente per restare a galla (questo film in America è andato maluccio) ma pare anche molto più sincero ed autentico del suo ormai "sofisticato" collega. In sostanza, l'accusa che rivolgo a Smith è quella di esser "troppo bravo" al punto di non voler più gestire i suoi limiti, che pure esistono, come guidato da una sorta di manìa di grandezza. (Sorvoliamo poi, perchè qui diventerei veramente cattivo, sulla sua chiacchierata recente adesione a Scientology...). Il contrario di Murphy, stella in caduta, che invece lotta come può per (almeno) mantenere la sua posizione a Hollywood. Ma la star consacrata dal film è la piccola Yara Shahidi. Ma come si fa a non innamorarsi di una simile meraviglia di bambina?! Questa bimba ha un talento enorme ed è una delle attrici-bambine più brave fra quelle finora viste sugli schermi. E' capace di espressioni profonde e riflessive come di sorrisi disarmanti, ha due occhi che parlano da soli e sono pronto a scommettere che nel suo futuro da adulta c'è una carriera già scritta nel cielo di Hollywood. La sua adorabile presenza nel film è qualcosa di indimenticabile...ed è così dolce che vien voglia di riempirla di coccole. E ci tengo a sottolineare che nella sua recitazione non c'è un solo grammo di melenso o di zuccheroso. Anzi: è soprattutto credibile nel modo serio e impegnativo in cui chiede ed ottiene dal padre dignità e rispetto. E poi anche i critici sono tutti d'accordo nell'affermare che in molti momenti del film Yara ruba letteralmente la scena a Eddie Murphy! Concludendo. Film gradevolissimo e comunque sicuramente dignitoso, che merita una visione. Quanto alle accuse ricorrenti di "buonismo disneyano", le respingo al mittente, annotando che non capisco dove sta il problema nel mettere in scena una commedia deliziosa che avrebbe dunque la colpa di veicolare una duplice tesi, peraltro più che condivisibile, che potremmo così sintetizzare: 1) - Dedicare troppa energia al lavoro è sbagliato, ci fa male e deteriora la nostra personalità fino a renderci infelici 2) - La fantasia sfrenata dei bambini è un patrimonio che troppo spesso sottovalutiamo e che merita innanzitutto il nostro rispetto.
Voto: 9
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