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The Tree of Life

Regia di Terrence Malick vedi scheda film

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Enrique

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La recensione su The Tree of Life

di Enrique
4 stelle

La domanda sorge spontanea: perchè?? Perché mai un film come questo, realizzato in questo modo?? (Non lasciatevi ingannare dalla “neutralità” della parola scritta; sono sinceramente sconvolto).
Avevo deciso di guardarlo perché - come spesso mi succede - incantato dai nomi altisonanti degli attori protagonisti (che pessima debolezza!) e pur di vederli recitare assieme ero disposto a sorbirmi qualunque cosa (avevo il vago sospetto che la visione del film sarebbe stata una tribolazione), ma forse per questa mia curiosità ho pagato un prezzo troppo alto. Due ore abbondanti (ma gli ultimi 15 minuti, mentre sullo schermo scorrevano bellissime visioni oniriche, praticamente non li ho visti: anche il mio corpo aveva ceduto ad un placido “viaggio mentale”, chiamato “sogno”) di totale, devastante e, soprattutto, incomprensibile NOIA. Scaturita da 2 fattori:
1. Risulta del tutto incomprensibile cosaabbia voluto dire T.Malick. Che la vita è dura? Che Dio è solo un “guardone” (come esclamava l’irriverente Milton/Pacino ne L’avvocato del diavolo), che i modi per affrontare la vita sono altrettanto inappaganti (lo stato di natura è egoista, si compiace di se stesso, non collima con l’etica) e lo stato della grazia (la via della sofferenza, in pratica, ma che promette la “vita eterna”…sai che bella consolazione, direbbero alcuni)? Che la vita è una valle di lacrime? Che bestie ferine sono più misericordiosi degli uomini? Che la vita umana è solo un puntino qualsiasi in un grande, splendido quadro “puntinista”? Mah, rimarrà un mistero, ma, quand’anche fossero stati questi i propositi del regista/sceneggiatore, risultano eccessivi, in parte antitetici e molto discutibili.
2. Per di più non si capisce come abbia voluto dire ciò. O meglio: perché abbia scelto di esprimersi come ha fatto. Ovvero Con un costante rollio della mdp, sempre, sempre in movimento, sempre obliqua, sempre sospinta da ansiosi, frenetici avvitamenti su se stessa, sempre in cerca dell’inquadratura originale, anche a costo di far venire mal di testa (è un giochino che regge per qualche decina di minuti, non per tutta la durata del film!). E intanto si alternano sequenze apparentemente (concedo il beneficio del dubbio) senza senso (tutta la digressione sull’origine del mondo è una sequela di immagini tanto suggestive, quanto incomprensibili per un buon quarto d’ora! Ma come si può pretendere che la gente normale non cambi canale?) e un’ipnotica colonna sonora, unitamente al sussurrato (fastidioso dopo un po’) vociferare fuori campo dei protagonisti, invita gentilmente alla nanna anticipata…

Malick semplicemente si preoccupa di dara piena soddisfazione ai suoi pruriti di estatico (ed estetico) virtuosismo, senza preoccuparsi di piacere a qualcuno diverso da se stesso (o da un annoiato critico cinematografico). Contento lui (e tutti loro che - incredibile ma vero - riescono a godere della visione del film).

Personalmente, mi sbilancio e gli assegno ben 2 stelle (anziché una sola) perché la fotografia è degna dei migliori documentari della National Geographic (o di Super Quark). Ma allora la prossima volta sarà forse meglio etichettare il film nel modo giusto (= documentario) e poi ne riparleremo.
Perché l’ipnotica colonna sonora potrebbe risolvere molti problemi d’insonnia alla comunità dei sonnambuli.
Perché il montaggio, per quanto trasmetta frenesia e nervosismo, ha però il merito di smorzare l’impatto soporifero del film, sì da renderlo una successione infinita di splendidi fotogrammi degna del miglior trailer cinematografico (ma forse 2 ore e un quarto sono troppe anche per chi non ami i teaser trailers!!).

Perché i protagonisti sembrano crederci davvero.

Perché meriterebbe un posto d’onore in qualunque rassegna di cinema sperimentale/d’avanguardia (per capirci, il TFF, non certo il festival di Cannes).
Perché avvalersi del linguaggio cinematografico per aprire sincronici scorci poetici sul cosmo e il microcosmo è una scelta coraggiosa che non mi sento di biasimare del tutto.

Ma - soprattutto - perché sono troppo buono.

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