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The Tree of Life

Regia di Terrence Malick vedi scheda film

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Questo testo contiene anticipazioni sulla trama.

La recensione su The Tree of Life

di hallorann
10 stelle

Chissà se Terence Malick conosce Don Gallo, il prete combattivo della Comunità di San Benedetto di Genova. Ho accompagnato casualmente la visione di THE TREE OF LIFE con la lettura de IL VANGELO DI UN UTOPISTA e vi ho trovato gli stessi concetti di pace, amore, serenità, vita, morte, “…cieli nuovi e terre nuove” (il regno di Dio). Ad un certo punto il personaggio di Jessica Chastain dice: “Se non ami, la tua vita passerà in un lampo, fai del bene, meravigliati, spera”. Sembra un mantra da mandare a memoria talmente è bello. Anche l’invito rivolto al giovane fratello morto di sciagura sotto gli occhi impotenti dei familiari: “Fratello proteggici, guidaci fino alla fine dei tempi”, paiono usciti dalle preghiere di Don Andrea. Confronti paradossali forse, ma non fuori luogo. L’opera di Malick è impregnata di umori religiosi autentici e sacri. Una vita intera non basta a porsi domande sul mistero della creazione, della terra, della vita. Dio è natura e Malick con questo capolavoro ci dà una certezza definitiva a riguardo. Jack cresce in una famiglia unita in cui il padre incarna il genitore severo e inflessibile, da un lato è il sogno americano da conquistare “tu fai di te ciò che sei, tu controlli il tuo destino, non puoi dire non sono capace”, dall’altra ammette la sua sconfitta e confessa che l’unica vera cosa che ha sono i figli. La madre è la figura materna per eccellenza: dolce, soave, protettiva, disposta a mettersi contro il marito quando questi alza le mani verso uno dei figli. Insegna loro a volersi bene, ancora di più dopo la scomparsa di uno dei tre figli. Jack adulto appare sospeso tra i grattacieli della modernità, smarrito, premuroso di chiedere scusa ad un padre con cui è stato in conflitto, irrisolto se è stato fatto tutto il possibile per salvare il fratello morto in gioventù. Una vita intera non può bastare a chiarire dubbi, cancellare dolori. Ed ecco che il finale appare liberatorio, ciò che rimane sono gli affetti che nell’aldilà si ritroveranno, come ci hanno insegnato (e turlupinato) da piccoli e nonostante la razionalità quasi spontanea continuiamo a crederci dentro di noi. Come Jack che lì troverà risposta al suo cammino tormentato. Malick ci regala un’opera messia che tutti (per chi la vuole accettare) attendevamo, un’opera da gustare con gli occhi, da ascoltare e da interiorizzare. Ha l’intensità, l’armonia e la perfezione di una sinfonia di suoni, immagini, gesti, volti e visioni che ti riconciliano con l’universo e di riflesso con te stesso. Non è new-age e non c’entrano né Sokurov né Tarkovskij. Altre cinematografie, ugualmente grandi ma gravide di ben altre tematiche e malinconie. Qui c’è solo Pace e Bellezza, dall’Utopia all’Eutopia, dal non luogo al bel luogo. Nel segno della Grazia.

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