Regia di Terrence Malick vedi scheda film
Conterò fino a dieci, schioccherò le dita e vi risveglierete dallo stato ipnotico in cui vi siete convinti che the tree of life è un capolavoro…
Cinema Nuovo Olimpia, dopo una giornata tra personal trainer, bagno turco, sauna, idromassaggio e doccia nebulizzata all’essenza di rosa decido di aggregarmi ad un gruppo di amici ipercolti ma soprattutto coraggiosi che mi hanno proposto the tree of life in lingua originale alle 22,15.
Parcheggio dietro piazzale Flaminio e mi avvio a piedi verso la striminzita Via in Lucina… la stanchezza è in agguato… guardo con tristezza la facciata del glorioso Metropolitan sprangata, osservo affranta il basso livello dei negozi di abbigliamento anche se mi sembra che ci siano almeno due o tre negozi decenti, noto con piacere che hanno messo un mega marciapiede mi sembra di fronte al Plaza. Arrivo cinema che l’unica cosa che vorrei sarebbe tornare nella doccia alla rosa.
Appena mi siedo comincio a recitare un mantra di preghiera… “speriamo bene, speriamo bene…”.
Non è servito a un cazzo.
Malik destruttura quella che potrebbe essere una storia, toglie la spina dorsale per seguire come una farfalla ogni sensazione e emozione.
A dire così potrebbe essere interessante…. Potrebbe essere bello…
Ma qualcosa non funziona, le scene si ripetono… la madre per strada o in giardino che gioca coi figli con lo sguardo perennemente angelicato, il figlioletto ipercinetico che sbatte i rami sugli alberi, che corre con i fratelli. Cioè… ma quante volte me lo devi far vedere?
Dialoghi zero, solo sussurri fuori campo che fanno domande e considerazioni sulla vita senza per altro dire una sola cosa che tocchi le corde dell’emotività. E io sono una che piange anche con i TVmovie di Canale5 in agosto, ho detto tutto.
Sean Penn ridotto a poco più di un cammeo. Brad Pitt in un ruolo che sicuramente avrà soddisfatto le sue velleità artistiche ma che poco può di fronte allo strasboradmento di una non sceneggiatura e agli invasivi virtuosismi della macchina da presa.
Ecco.. da far venire il mal di mare al settecentesimo identico avvitamento, alla quarantesima ripresa dal basso, al miliardesimo grandangolo volevo gridare “Ebbbastaaaaaaaaaaa!
La cura maniacale di ogni immagine è qualcosa che ha più a che fare con la fotografia che con il cinema. Se questo devo vedere allora preferisco le immagini di Baraka o dell’antesignano Koyannisquatsi… e qui arriviamo agli inserti puramente “estetici” del film, inframezzato da una serie di immagini che spaziano dallo spazio profondo all’Odissea nello spazio all’infinitamente piccolo. Cavolo… non ce ne eravamo mai accorti che che la struttura dell’universo, il moto dei pianeti è identica a quella dell’atomo. Sarà forse che l’infinitamente grande e l’infinitamente piccolo c’è qualcosa che si rassomiglia?
Vita cellulare, mondo sottomarino, magma primordiale, aria, acqua, terra e fuoco, i quattro elementi continuamente presenti e che entrano l’uno nell’altro in un continuo cambiamento di stato.
E poi, improvvisamente, Jurassick Park… arrivano anche i dinosauri. Evvabbè pure i dinosauri…
Un film che nel suo tentativo di cogliere la bellezza è come una donna completamente rifatta, magari bella ma di plastica.
Indubbiamente dietro c’è un gran lavoro e le immagini sono belle ma dio santissimo credo sia la cosa più noiosa che abbia mai visto in assoluto a parte qualcosa a teatro e uno spettacolo di danza al Vascello che mi volevo suicidare...
E ora... tacabanda!
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