Regia di Tim Burton vedi scheda film
Della magnifica favola di Lewis Carroll questo film mutua i personaggi e l’equilibrio tra essi. Poi, come è giusto che sia, per non sfigurare rispetto all’archetipo Disney del ’51, ma anche per non riproporre sempre la stessa trama, Tim Burton decide di ricamarci su a modo suo, prendendo a prestito la (risaputa) storia e creandone una sorta di sequel. Nasce così “Alice in wonderland” dalle premesse il più bartoniano film che ci possa essere. Ed è proprio per tali premesse che alla fine risulta è una mezza delusione.
C’è Carroll a suggerirne il soggetto, un cineasta gotico per antonomasia come Burton a dirigere ed il talento poliedrico dell’immancabile Depp ad interpretare… Eppure all’uscita della sala non c’è quella sensazione post coito che sovente accompagna il ritorno a casa dopo la visione sul grande schermo di un film del cineasta di Burbank. E le ragioni sono molteplici. Innanzitutto la storia in sé, che non è avvincente come ci si auspicava, per quanto l’idea del sogno infantile che sogno non è stato risulta molto intelligente; poi la fantasia che pare latitare (in alcuni frangenti pare un film fatto di fretta, con una pessima caratterizzazione dei personaggi, poco più che accennata); infine l’interpretazione: Depp pare Edward mani di forbice invecchiato, che dopo l’operazione di ricostruzione degli arti, non potendo più tagliare ha deciso di cucire (cappelli); Anne Hathaway si nota solo per il rossetto viola e le sopracciglia stinte; la semi-esordiente Mia Wasikowska, per la prima volta in carriera nel ruolo di protagonista, che in alcune scene si confonde con lo sfondo per quanto è inespressiva; si salva solo la Bonham Carter, col rossetto che sembrano baffetti hitleriani, che fa un’unica espressione, ma almeno la fa bene.
Il film non emoziona: non c’è un personaggio che strappi una risata o si erga a beniamino (il bianconiglio è un comprimario appena accennato, il bruco non rimane impresso, anche gli amici del cappellaio fanno più tenerezza che simpatia – li si prende per deviati mentali reali, non per figure strampalate e fuori dagli schemi!). Nemmeno la tecnica del 3-D, (giustamente) esasperata da illustri predecessori come “Viaggio al centro della terra” o il recentissimo “Avatar”, in questo film pare un corollario tecnologico superfluo: la regia non lo sfrutta appieno, non lo padroneggia, non ne trae funzionalità.
Personalmente un film che rappresenta un’occasione sprecata per gli autori, che da un potenziale capolavoro hanno ricavato un film complessivamente mediocre.
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