Regia di Tim Burton vedi scheda film
C’è molta licenza narrativa in questo nuovo e tanto atteso lavoro del maestro della dark animation, Tim Burton. E’ bene saperlo perché altrimenti c’è il rischio che i bambini portati in sala si annoino e, giustamente, reclamino il loro “cartone di Alice nel paese delle meraviglie”, quello bello della Disney.
Innanzitutto, Burton fa crescere d’età la stessa protagonista del film: non è una bambina ma nemmeno un’adulta, forse neanche un’adolescente. Convogliata e costretta alle nozze con lord Hamish, rifiuta, perché tale unione è evidente materializzazione di un certo conformismo e perbenismo, di cui la sua vita è circondata. In realtà, la logica che guida il mondo costruito da Burton è che “I matti sono i migliori”, per cui qualsiasi consuetudine tradizionale o normalità è sinonimo di massificazione, tant’è che la stessa crescita di Alice sarà un continuo rifiuto a scendere a patti con la realtà.
Nonostante la favola di Caroll sia intrisa di grandi sentimenti, compresa la paura, Burton, forse per privilegiare quest’ultima soltanto, tralascia tutti gli altri, omettendo anche tutto quanto di poetico c’è nel testo di una delle storie più importanti dell’infanzia di tutti (o quasi). Infatti, quelli che mancano nel film sono i sentimenti e la poeticità di un’infanzia ch’è già adulta, abituata ad avere rapporti con mostri e draghi cattivi. E’ vero che sempre ritorna in Burton l’incontro/scontro fra normalità e mostruosità, come anche nell’ultimo non eccezionale Sweeney Todd, ma in Alice eliminare quell’ingenuità di sguardo tipica delle favole, a favore dell’artificio e dell’artificiale, compresi gli inutili e brutti effetti 3D, almeno in questo film, è piuttosto spiacevole. Alla fine quello che a tutti rimane del film è il castello in cui abita la Regina di cuori, l’unico capace di farci ricordare che un tempo si era bambini e si guardavano i “cartoni animati”. Forse perché il castello è proprio quello della Disney, sebbene avremmo voluto vederlo sgombro da nubi, fossati e putride acque scure con teste mozzate, a cui costringe Tim Burton il suo pubblico. Sembra che egli voglia a tutti i costi dare per scontato come il nonsense, il gusto per lo strampalato e per le cose fuori dall’ordinario siano tutto ciò che governa il mondo. E’ vero che abbiamo alcuni personaggi politici, è vero anche che tanta “anormalità” guida le cose della terra, e anche quelle dello Spirito, ma qualcuno, per sbaglio, rientrerà a far parte pure di quella quotidianità delle cose, ch’è fatta di valori, sentimenti, poesia, desiderio di libertà, di quel paese delle meraviglie così ben raccontato nel film d’animazione della Disney cinquant’anni fa?
Purtroppo Alice non è così bello come avrebbe potuto e forse dovuto essere, perché la storia non scorre, i dialoghi non incidono, non c’è pathos, i personaggi sono freddissimi come gli effetti 3D. La scena del prefinale, quella con la “danza” di Depp, che desta molto imbarazzo, magari potrebbe essere un omaggio a Michael Jackson, così al non sense aggiungeremmo il sense del non sense. Tuttavia, da evitare.
Giancarlo Visitilli
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