Regia di Terry Gilliam vedi scheda film
Un senso di straniamento e di “pantagruelica” allucinazione pervade lo schermo fin dalla prima scena e si dirama, inesauribile, di sequenza in sequenza. Costumi, scenografie e, soprattutto, “volti” sfilano a iosa dinanzi ad un pubblico eterogeneo e diffidente, poco attrezzato a fare i conti con l’inconsueto mondo fantastico che occupa costantemente l’immaginazione di Parnassus/Gilliam. Nondimeno costui non si scompone e con cadenza regolare esso ripropone, sera dopo sera (Parnassus), film dopo film (Gillliam), onde fugare il rischio che la propria poliedrica vena artistica possa appassire al cospetto di una logica consumistica più commerciale.
Per diletto, scherno o compassione, l’azzardo del regista più eclettico di sempre stavolta eleva ad oggetto del racconto la più suadente tentazione delle tentazioni, ovvero la spavalda sopravvalutazione delle umane possibilità da parte di un uomo di belle speranze, la cui statura morale, invero assai modesta, egli non dissuade dal brivido velleitario di provare a prendere per il naso nientepopodimenoche… il diavolo in persona!
L’ultimo depositario di un certo tipo di racconto (chissà quale - si chiederanno i più esigenti - ma i labirinti della mente di Gilliam non svelano tutte le risposte) della storia dell’umanità si trova, quindi, a dover rivaleggiare con il più astuto dei contendenti, in una sfida, a colpi di scommesse, che ha la (perdonabilissima) presunzione di fare da cassa di risonanza di tutti gli echi di bontà e malignità che albergano nel cuore dell’uomo e che animano il mondo, in una lotta eterna e (quanto realisticamente!) in costante equilibrio.
E` ancora un film surreale e immaginifico a recare in profondità i segni dell’estro visionario del suo autore. Gilliam riversa in Parnassus tutto sè stesso; dietro lo specchio del suo alter ego (Parnassus) si cela l’intero immaginario del cineasta (Mathiasparrow).
Un film che, quindi, si colloca in una dimensione tutta sua; ondivago, vagamente strampalato, ma fondamentalmente affascinante e magico (supadany), epperò un film che verrà per sempre ricordato per essere stato l’ultimo del compianto Heath Ledger. Il film nel quale questi ha inconsapevolmente riposto il proprio testamento attoriale, lasciando il testimone ad un alter ego che, per la triste occasione (onde tentar di compensare l’immensità della perdita umana), si è dovuto fare, letteralmente, in quattro (pardon; in tre).
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