Regia di Terry Gilliam vedi scheda film
L’ultimo Ledger della nostra vita. Il cinema maiuscolo di Terry Gilliam incontra il sorriso e la smorfia gigioneschi del Joker vestito ammaliante e seducente come Casanova. L’ultimo Ledger della nostra vita - l’ultimo prima delle future numerose revisioni che faremo in casa dei suoi vecchi film - ha la maschera bianca della commedia che fu e il volto triste di un pierrot underground. É quel Tony che chiamano George, lo smemorato che sbuca fuori da sotto un ponte e travolge/sconvolge le vite dei teatranti che lo salvano da morte certa - o forse no? Questi sono una bizzarra famiglia di saltimbanchi su cui troneggia saggio e perturbabile il grande Dottor Parnassus, di anni mille. Un vecchio patto con il diavolo gli ha donato l’eternità. Ora, stanco e sofferente rivuole la mortalità, ma il prezzo è la sua bella figliola Valentina. Cinque anime da dannare o salvare. Chi tra il diavolo e Parnassus riuscirà nell’impresa vincerà. Ma se il film si fermasse solo a questa fabula sarebbe ben poca cosa. Invece il film supera il canone narrativo e affronta il percorso etico dei personaggi attraverso la magia illusoria della ricreazione. I luoghi di fantasia di cui Gilliam per nostra fortuna non è ancora sazio aiutano a frammentare i mondi personali, a moltiplicare le prospettive fino ad aumentare sensibilmente le percezioni del reale. Certo, seguiamo la scommessa curiosi di vedere come andrà a finire, anche perchè con un Tom Waits elegantissimo e perfettamente vestito dei panni del diavolo il duello attoriale con l’ottuagenario Christopher Plummer pieno di grinta e dannatamente in parte è uno spettacolo nello spettacolo. Ma ciò che sottilmente seduce lo spettatore è il mondo emotivo lì raccontato. L’amore travagliato del classico giovinetto efebico ma non troppo, con guizzi di virilità posticcia e un tocco di bohemiene che lo rendono simpatico e vulnerabile, così come l’ostinata battaglia del vecchio Parnassus contro il diavolo e la bottiglia, e infine: gigantesco nel dosaggio del suo recente istrionismo, Heath Ledger dà vita ad un personaggio ambiguo, funambolo dei sentimenti e dei palpiti. Il suo Tony che chiamano George non è per Gilliam un semplice impiccato, ma un’ombra che danza sull’acqua. La prima apparizione di Ledger è suggerita, è impalpabile, è liquida. Solo nelle inquadrature successive lo vediamo in tutta la sua fisicità. Il gesto, le smorfie ereditate dal Joker, la presenza scenica propagante, agente di più e più maschere che aumentano con l’avanzare della storia, che infittiscono le trame dei giochi di quel grande puppets-master che è Gilliam fino al finale coinvolgente e ben ritmato in cui il vero volto de diavolo torna ad essere umano. Presenza liquida e corporea, Heath Ledger invade ogni centimetro della pellicola, fino a strabordare dallo schermo, per poi restare palpitante e fatale davanti a noi.
Il gioco di specchi e di mondi fantastici che il teatro suggerisce e che il cinema invera sotto i nostri occhi, sono le strutture tematiche con cui Gilliam e Ledger costruiscono un film che vuole arrivare alle corde sottili di quel violino umano che tace durante la vita-che-si-vede, per suonare di emozioni sue proprie quando entra in gioco la vita-che-non-si-vede. La trascendenza dei luoghi gilliamniani è da sempre contorta, speculare, ingarbugiata e dissonante rispetto quella più lineare ed espressionistica di Tim Burton. Eppure la facilità con cui arriva a giocare le carte della partecipazione emotiva è così semplice e diretta che il film spiazza e commuove ad ogni suo angolo e crocicchio. Ad aiutare in questo, ovviamente, la presenza di un attore che se ne è andato troppo presto, lasciandoci, noi attori e cineasti della mid-generetion, orfani di uno dei nostri alfieri più coraggiosi e vigorosi, dove fisico e animo trovano nella loro lotta attoriale uno dei performers più capaci di questo nuovo secolo. Ogni generazione ha il suo Jimmy Dean, questo è il nostro. Poco fanno, è il caso di dirlo, i tre amici venuti a triplicarlo sul grande schermo. Johnny Depp inizia fuori parte per poi riscattare il cameo con la sua gigioneria di classe ed un breve monologo antologico; Jude Law dà il meglio di sè quando smette di imitare la stravaganza di Ledger e si fa sobrio come la sua scuola vuole; Colin Farrell è invece il Tony che chiamano George che più di tutti sa prendere le distanze dalla macchietta e grazie anche alla lunga sequenza conclusiva di cui è protagonista riesce a sovrapporsi all’attore originale, senza però toglierci il dubbio che mai nessuno come lo stesso Ledger avrebbe chiuso in bellezza quel suo personaggio che da fascinoso ammaliatore di storie stravaganti diventa orco e diavolo agli occhi del mondo.
NB: la mia opinione risale alla data di uscita nelle sale italiane del film. Mi sono accorto solo oggi di non averla pubblicata.
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