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Parnassus - L'uomo che voleva ingannare il diavolo

Regia di Terry Gilliam vedi scheda film

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La recensione su Parnassus - L'uomo che voleva ingannare il diavolo

di ROTOTOM
8 stelle

Prima considerazione: Heat Ledger era (è ) un attore meraviglioso. Di quelli che si riconoscono come tali solo quando non ci sono più, la cui sola presenza fisica dal linguaggio corporeo cristallino arricchisce un film già di per sé visivamente eccezionale.

Seconda considerazione: Terry Gilliam è un regista straordinario, c’è ancora e lotta per il suo immaginario contro tutte le convenzioni etiche e d estetiche cinematografiche e se anche non riuscirà mai ad ingannare il diavolo sicuramente riuscirà a divertirlo, il che non è poco.

Tom Waits è un diavolo perfetto, dalla voce antica figlia di tante voci ingoiate dall’eternità ad oggi e mischiate in un gorgogliante, dannato, fumante blues. Valentina è la figlia di Parnassus/ Plummer, ma appartiene al diavolo. Dopo tutto Blue Valentine è di Tom Waits, che diamine!

Questo Parnassus, mago randagio, straccione, col carrozzone cigolante a farsi largo tra mulini a vento in plexiglass e vetrocemento, foreste di pilastri di sopraelevate verso chissà cosa, relitti urbani usati distrutti e dimenticati, è Terry Gilliam e il suo carrozzone è il suo cinema, colorato e bizzarro. Attraverso lo schermo o attraverso lo specchio si entra nella mente e nell’immaginazione di un creatore di mondi possibili, ognuno con le proprie aspirazioni, desideri, speranze che prendono vita in una contaminazione alchemica di visionarietà fanciullesca che riconcilia con lo stupore bislacco dei primi film di Méliès.

Il cinema di Gilliam si assesta sullo stile consolidato di traballante incertezza, un canovaccio da guitto che improvvisa a piacere del pubblico, cercando contemporaneamente di rimanere  fedele a se stesso senza tradire le aspettative. Affabulazione e magia del cinema, equilibrio  da baraccone e truffa, grandangoli e personaggi sgradevoli, fisicamente disegnati come dovrebbero essere in un ipotetico mondo immaginario.

Immaginarium of doctor Parnassus, dice il titolo originale più correttamente, poiché Parnassus non cerca di imbrogliare il diavolo, cerca di vincere semplicemente una scommessa. Così nell’immaginarium di Parnassus, nella sua mente, si sciolgono le speranze e l’immaginario dei viandanti irretiti dal baraccone zingaro, cedendo l’anima in cambio di un’illusione.

C’è tutta l’amara ingenuità delle opere fallite nello sguardo triste di Parnassus, a partire da quel Don Chisciotte abbandonato agli infuriati mulini a vento il cui testimone è stato preso da Parnassus stesso in lotta contro i mulini a vento di una realtà sociale cafona e impersonale fatta di strade e ponti, cocci di bottiglia,  città attraversata con il carro carico di incredibili superstizioni e un segreto mostruoso da tenere celato. L’mmagine del carrozzone di legno, sporco, gracchiante di ninnolame, paccottiglia e sfondi scalcinati, ingombrante e assurdo è quella di un’astronave aliena atterrata sulla terra in incredibile ritardo sul futuro.

L’inconsapevole lungimiranza dei geni prende vita nella morte anticipata dalla finzione del suo attore Heat Ledger, che inizia il film morto e alla fine vive di più vite, quelle che dell’attore fanno la fortuna e il mito, l’immortalità lasciata scivolare su un fiume nero come la schiena di un serpente, barchette e lumini e immaginette sacre di immortalità popolare. Un brivido scorre lungo la schiena nel sottintendere che in quel fiume la prossima barchetta forse sarà proprio la sua, confutando ancora di più l’assioma che vuole la finzione sempre prostrata in favore della realtà, molto più agghiacciante. Il film ha due vite, quella  della sceneggiatura, della storia che avanza barcollante come un mendicante che questua credibilità, e quella della sua parte speculare fatta di necessità che diventa virtù, degli attori che prestano il volto all’amico scomparso, della computer grafica grezza e pupazzosa che offre un nostalgico effetto retrò ai mondi visitati dal lestofante Tony/Heat/Johnny/Jude/Colin. Questo aspetto non si può scindere dall’impianto del film poiché come nel carrozzone realtà e fantasia si mischiano in qualcosa che è di più della vita stessa, nella realizzazione della pellicola vita e morte si sono fuse in qualcosa che è più del cinema. E’ un triste testamento senza eredi, un canto di morte che ha preso spessore, una speranza da spirare attraverso un vetro. E’ la fine della rivoluzione come la conosciamo, il doppio salto mortale delle convenzioni sociali che ricadono salde sui loro piedi dopo due giri in aria.

Valentina la figlia contesa tra il diavolo e il padre Dott. Parnassus, sedicenne libera, animaletto freak dell’arca di nani e giocolieri che è il carrozzone di Parnassus, sogna la casa perfetta ritratta su una rivista mentre attraversa una città oscura e ostile, mentre si accampa in palazzi in rovina, mentre il mondo va a rotoli e il protagonista muore, mentre tutto sembra finire, sogna una famiglia e una normalità che si è ormai perduta tra mondo reale affamato di fiabe  e mondo fiabesco travolto dalla realtà demente che è costretto a subire.

La rivoluzione è essere normali, giorno per giorno.

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