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Parnassus - L'uomo che voleva ingannare il diavolo

Regia di Terry Gilliam vedi scheda film

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La recensione su Parnassus - L'uomo che voleva ingannare il diavolo

di mc 5
10 stelle

Permettetemi di iniziare buttandola sul faceto, dedicando un minuto di silenzio in omaggio a quella moltitudine di ragazzine che hanno affollato le casse delle multisale nello scorso weekend, convinte di accingersi alla visione del "film con Johnny Depp"...e che suppongo non abbiano preso molto bene il fatto che il loro divo prediletto si sia materializzato sullo schermo per non più di dieci minuti scarsi. Evabbè, chissenefrega, molte di quelle stesse si consoleranno col nuovo Moccia in arrivo. Stupidaggini a parte, il film non mi ha affatto deluso, visto che -fra l'altro- avevo un'idea di ciò cui avrei assistito. A proposito di Terry Gilliam, devo confessare di essermi perso il suo "Tideland" e di essere scarso conoscitore della sua filmografia, pur essendo il sottoscritto appassionato e devotissimo fan del genio insuperabile (e insuperato) dei miracolosi Monthy Python. Il film è praticamente una rutilante fiaba pop ricca, ricchissima, di colori, di trovate, di situazioni, di personaggi, di sfondi, talmente ricca che la ritengo una di quelle pellicole che necessitano di un paio di visioni per non disperderne nemmeno una "traccia". Gilliam, utilizzando il digitale e mettendolo al servizio della sua scatenatissima vena immaginifica-fantastica, realizza un'autentica "festa per gli occhi" dello spettatore. Io poi penso che certe immagini abbiano effetti diversificati nella psiche di chi le osserva, a seconda dell'attitudine a recepire ciò che gli occhi vedono. E se dico questo c'è un motivo, che cercherò di spiegare, fermo restando che si tratta di riflessioni che attengono alla sfera del mio inconscio e dunque difficilmente condivisibili. Bisogna allora rifarsi alla sequenza iniziale del film. Siamo in una Londra notturna, umida e fredda. In una piazzetta, in cui arrivano gli echi dei suoni techno di una piccola discoteca vicina, si sta montando il palco dello spettacolo itinerante di una piccola compagnia di teatranti ambulanti. Lo "spettacolino" è introdotto da un conduttore che ha le vesti di Mercurio e che comunica ad un distratto uditorio di passaggio un'idea di improvvisata cialtroneria, un misto di spirito circense e di arte povera da saltimbanchi. Dello show fanno parte: il presentatore-Mercurio, un nanetto volgare e scontroso, una bella fanciulla molto giovane, e un guru carismatico (si fa per dire) e sedicente immortale denominato Parnassus. Ecco, devo dire che personalmente sono stato affascinato fin da piccolo dall'idea di queste piccole carovane itineranti di modesti artisti circensi e, per dirla tutta, voglio confessare che, neanche tanti anni fa, ho fatto un incontro molto speciale, di quelli che (un pò) ti cambiano la vita: mi riferisco ad un piccolo circo itinerante francese (forse qualcuno ne ha sentito parlare, pare che sia diventato un piccolo oggetto di culto, Il Circo Bidone, "Le Cirque Bidon"...) di cui conservo ricordi umani meravigliosi, dato che con alcuni dei componenti avevo a suo tempo stretto legami di stima reciproca. Ma torniamo al film. Lo "spettacolino" ha una sua elementare (e anche un pò kitsch) scenografia al cui centro appare uno specchio. Ecco, lo specchio...un altro concetto che ha sempre sedotto il mio immaginario infantile: lo specchio inteso come barriera, linea di confine tra "questo" mondo e l'ignoto, il fantastico, la "twilight zone", oppure forse addirittura il paradiso terrestre. E nel film accade proprio questo: che chi oltrepassa lo specchio viene catapultato in un'altra dimensione. Una dimensione che Gilliam ha rappresentato senza trattenersi, dando totale sfogo alla sua immaginazione creativa più bizzarra, più debordante, più sfrenata. E qui devo soffermarmi per una ulteriore riflessione. Ho come l'impressione che l'utilizzo che Gilliam fa degli effetti speciali sia personalissimo e, soprattutto, non abbia nulla di ruffiano o di compiacente per andare incontro alle suggestioni fiabesche infantili. Lo dimostrano diverse situazioni "digitali" che sortiscono effetti quasi "dark", che smuovono suggestioni oscure e paurose, alcune delle quali implicano anche risvolti (credo) psicanalitici. Quello che voglio dire è che tutti i trucchi e le trovate visive (tante!) non hanno nulla di Disneyano, nulla di tradizionalmente infantile. E' una fiaba pop-dark: ecco, così potremmo sintetizzare il concetto. Ed è una fiaba, proprio per le caratteristiche che la definizione appena data implica, ricchissima di fascino intrigante, generosa di suggestioni visive a cui è difficile resistere. E non si tratta solo di "effetti speciali", ma anche del genio con cui Gilliam ha scelto di caratterizzare (sia psicologicamente sia esteriormente) gli attori protagonisti. Tutti, ciascuno a suo modo, inquietanti, tenebrosi, pieni di risvolti ambigui e custodi di misteri, il che attribuisce al tutto un clima ancor più marcato di fiaba bizzarra e grottesca. Tutto ciò (e molto altro) fa di "Parnassus" una pellicola probabilmente unica nel suo genere. Questo non era, immagino, un film semplice da realizzare. Ovviamente i numerosi effetti speciali avrebbero implicato un budget cospicuo, ma non è di questo che volevo parlare. Io intendevo riferirmi alla complessità di una sceneggiatura frammentata e a rischio dispersione, ricca di parentesi e di rimandi al passato, a tratti potenzialmente macchinosa: ebbene Gilliam, aiutato dal suo vecchio collaboratore di sceneggiature Charles McKeown, ha vinto la scommessa sfornando un prodotto finale che regge benissimo l'evolversi non semplice della vicenda. Anche se è evidente che, in un simile contesto, il plot è spesso sovrastato dalla potenza delle immagini, nel senso che può accadere che la forte suggestione visiva distragga dal meccanismo narrativo. E veniamo al cast, con la consapevolezza che esso ha, in questo caso, una peculiarità a tutti già nota: la prematura scomparsa di Heath Lager. Scomparsa che è stata genialmente (ed affettuosamente) affrontata da Gilliam nel modo migliore. La genialità sta nel piegare un dettaglio narrativo della sceneggiatura a questa sopraggiunta drammatica novità: uno specchio che muta le sembianze di chi lo attraversa, fa sì che il volto di Lager si trasformi in quello di Johnny Depp, di Jude Law e infine di Colin Farrell. Tutti e quattro straordinariamente bravi, anche se -potendo esprimermi- vorrei dire che Farrell mi è parso quello forse un pò più impacciato e legnoso. Resta da dire degli altri tre protagonisti. Tom Waits è l'artista-istrione che conosciamo, un Artista con la A maiuscola, in grado di esprimersi in modo assolutamente incisivo sia che appaia nelle vesti di un diavolo un pò dandy mentre fuma sornione il suo sigaro, sia che canti uno dei suoi blues così struggenti da far accapponare la pelle. Lily Cole, attrice che non ricordavo, un viso e un temperamento speciali (anche se poi, poco prima di scrivere queste note, mi sono documentato scoprendo che è più che altro una famosa modella e che -ahimè- ha partecipato a "St.Trinian's" che è uno dei più brutti film mai visti in vita mia). Quanto a Cristopher Plummer, beh, sono un suo estimatore da sempre, si tratta di uno dei più grandi attori classici viventi: ogni volta che vedo sullo schermo quel suo antico volto tra il burbero e l'austero, non posso fare a meno di collegarlo alla memoria dei più grandi attori teatrali inglesi, attori, per intenderci, del calibro di un Sir Laurence Olivier. Ritornando al film nel suo complesso, alla fine si esce dalla sala soddisfatti e "accarezzati" da quella bellissima scritta finale: "Un film di Heath Lager e dei suoi amici". Una frase felice che ti trasmette una piccola ondata di serenità e di affetto. Gli spunti di riflessione che il film ci offre sarebbero decine, ma di spazio e di tempo non ce ne sono più. Ma vogliamo dirlo che quel balletto dei poliziotti ci riporta direttamente a certi scatenati "numeri" dei Monty Python? E, ancora, non è stupefacente che l'immaginario fantastico di Gilliam sia così estremamente moderno eppure -al tempo stesso-  risulti così legato agli albori del cinema di Meliès e dei fratelli Lumière?? Terry Gilliam è un tipo che il Cinema lo ama davvero. E si vede.
Voto: 10

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