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Bellamy

Regia di Claude Chabrol vedi scheda film

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La recensione su Bellamy

di Peppe Comune
8 stelle

Il commissario Paul Bellamy (Gerard Depardieu) si trova a Nimes nella casa di famiglia della moglie Francois (Marie Bunel) per trascorrervi un periodo di sereno relax. Ma un poliziotto solerte come lui non va mai in vacanza. Soprattutto se viene contattato da un tipo alquanto strano che gli dice di chiamarsi Nol Gentil (Jacqus Gamblin) e gli racconta che probabilmente è responsabile della morte di un uomo e di non sapere di preciso chi esso sia. Ma questo è niente, perchè il commissario Bellamy si mette a curiosare sul caso come se questa fosse la cosa più naturale da farsi. I problemi veri gli derivano dalla visita del fratello minore Jacques (Clovis Cornillac), uno spiantato dedito all'alcoll e al gioco d'azzardo che cova un rancore profondo nei suoi confronti : per la fortuna che ha sempre avuto e la serenità familiare che ha saputo costruirsi.

 

 

Con "Bellamy" Claude Chabrol torna al giallo, poggiando invero una trama imbevuta di dramma sulle solide basi di una commedia vagamente brillante. La solita mescolanza di generi dunque, e considerando che a mio avviso il precedente "L'innocenza del peccato" rappresentò un passo indietro nella filmografia di Chabrol, direi che "Bellamy" segna anche il ritorno al suo splendore : un film che ha la leggerezza tipica del buon prodotto nato per la televisione e la raffinata sottigliezza analitica che si richiede al giallo d'autore. Un'opera che conserva i tratti tipici della sua poetica ed è ben supportata da una shiera di buoni attori su cui spicca la gigionesca prova di un Gèrard Depardieu in ottima forma. Superba la caratterizzazione dei personaggi, tipizzati al punto da formare un quadro di provincia (sempre quella) di conturbante ambiguità all'interno del quale Bellamy si muove, non tanto con lo scopo di di scoprire il responsabile di un delitto, quanto di svelare i meccanismi che stanno dietro alla produzione di una colpa : per capire, senza giudicare. Bellamy fa tappa in diversi luoghi e sosta accanto a diverse esistenze, tutte con un presente chiaramente evidenziato e nessuno che non trasmetta il dubbio che non tutto è come sembra (a partire dai suoi ammiccamenti erotici con la moglie e dal rapporto col fratello). E' sempre così con Chabrol, "c'è sempre un'altra storia, c'è più di quello che si mostra all'occhio" (recita la didascalia finale riprendendo dei versi di W.H.Auden). Il suo è un cinema che si nutre di sensazioni perchè le cose importanti sono quelle che accadono sullo sfondo, lontane dalla ribalta, più a livello percettivo che cognitivo. In superficie abbiamo sempre la certosina delineazione psicologica dei personaggi, quella che ci lascia intendere anche ciò che non vediamo. Questo è stato sempre il modo con cui Chabrol ha inteso esplicitare la sua "militante" accusa alla morale borghese : smascherare il torbido che cova sotto ogni esistenza apparentemente proba. Con questo film Claude Chabrol ha inteso omaggiare  Simenon e Brassens. "In omaggio a due George" è scritto all'inizio, ed infatti il film riflette, tanto le atmosfere intriganti del grande scrittore, quanto il libertinismo anarcoide dello chansonnier. Si sente soprattutto la presenza di Brassens (il film parte dal cimitero in cui è sepolto), la sua opera, la sua musica, la sua poetica, finanche la sua tomba. E io mi alzo in piedi.

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