Regia di Reinhard Klooss, Holger Tappe vedi scheda film
Impy è un piccolissimo dinosauro che dimora su di un’isola in mezzo all’Oceano Pacifico ed essendo figlio unico sogna, un giorno, di poter avere l’affetto di una sorellina.
In occasione della festa per il compimento del suo primo anno, questo desiderio sembra avverarsi grazie a un regalo fattogli dai suoi amici più cari: un panda tutto per lui, di nome Baboo. L’animale si rivela per Impy un po’ troppo invadente e sembra non esaudire i desideri del lucertolino.
Nel contempo, su di una terra selvaggia non meglio posizionata, il Sig. Barnaby è a capo di un parco divertimenti finanziato dagli sceicchi e ha 7 giorni di tempo per trovare un dinosauro da aggiungere alle sue attrazioni, pena il mancato sostentamento economico da parte dei facoltosi arabi…
Troppi elementi fanno di “Impy” un cartone animato uguale a tanti altri e senza alcuna idea innovativa. Alcuni personaggi e tante situazioni narrative rimandano a figure e a film già visti.
A cominciare dall’aspetto del Sig. Barnaby, ispirato in tutto e per tutto al poliziotto Angel Batista della serie tv “Dexter”: cappello a larghe tese, occhiali da sole, pizzetto disegnato allo stesso modo, indossa le medesime sgargianti camicie hawaiane, il braccialetto d’oro, l’anello vistoso fino ad arrivare all’identificazione totale quando si nota la pancia prominente uscire allo scoperto. Certo, i suoi modi di fare sono meno onesti di quelli dello sbirro di Miami, ma a che pro inserirlo in un cartone animato per bambini? Omaggio? Citazione colta per strizzare l’occhio agli adulti?
Per continuare poi con lo svagato professore disegnato, pensate un po’ all’originalità della fonte, con le medesime fattezze del noto scienziato Einstein.
Una quantità enorme di pellicole animate ha invaso negli ultimi anni il nostro immaginario cinematografico raccontandoci di “trasmigrazioni” da luoghi esotici e primordiali a posti più evoluti e tecnologici, e viceversa; che bisogno c’era di aggiungere questa sconclusionata avventura a quelle di un “Madagascar”, di “Uno zoo in fuga”, di un “Jurassic Park”?
Echi nemmeno troppo lontani risuonano pure dal classico “King Kong”: la cattura della belva (si fa per dire, in questo caso) da esibire in pubblico a scopo di lucro, il modo con il quale Impy viene incatenato fra i due grossi pali di legno è il medesimo trattamento riservato al gigantesco scimmione.
Non manca poi l’occasione di rinverdire stupidamente i fasti degli spettri, con la visita al castello stregato che si trova nel luna park di Barnaby (in qualche modo dovevano pur allungare il brodo, no?).
La scena più riuscita rimane quella della corsa vertiginosa sull’ottovolante; è lì che la complicità tra Impy e Baboo si fa tangibile e si ride a spese dell’imbranataggine di Otto (volante anch’esso), il fin troppo ossequioso bulldog del Sig. Barnaby.
Il film, già abbastanza corto di per sé, risente oltracciò di uno svolgimento narrativo lento considerando anche il genere solitamente ben più movimentato e ricco di colpi di scena. Le idee migliori sono state riservate alla fine: durante i titoli di coda, infatti, ci sono alcuni colpi di genio che meritano un’ulteriore permanenza in sala di 3 minuti (tanto, al bar, una pizza calda la si trova sempre…).
Il momento più basso lo si raggiunge quando parla uno degli sceicchi di cui sopra: qualcuno, infatti, ha avuto la malaugurata idea di farlo doppiare dall’ormai celebre Marco Carta. La sua prestazione rispecchia il suo modo di cantare: senza alcuna verve, né enfasi.
Capisco che il lavoro del doppiatore (come quello di cantante, del resto) non sia affatto facile ma qualche lezione in più di Fioretta Mari sarebbe stata, in questa circostanza, cosa gradita.
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