Regia di Florestano Vancini vedi scheda film
Palpitante e significativo episodio del revenge western all'italiana.
Una compiuta illustrazione del concetto di revenge western declinato all'italiana. Il plot dell'uomo - evaso di prigione dopo anni di ingiusta detenzione - che intende vendicarsi di coloro che hanno tramato contro di lui, già l'avevamo avuto nel Minnesota Clay corbucciano, però lo svolgimento era meno cattivo, meno esagerato nelle forme. Lì il protagonista uccideva i suoi nemici solo come sottoprodotto secondario, poiché il suo intento iniziale era di costringerli a testimoniare in favore della sua innocenza. Del resto erano ancora i primordi del movimento in Italia e ancora si risentiva delle influenze del western americano, che da par suo ha prodotto un film altrettanto simile come La lancia che uccide (di Dmytryk, 1954). Sia in Dmytryk sia nel primo Corbucci l'eroe pare reprimersi nella sua furia vendicativa: si porta dentro delle rabbie, ma cerca di accantonarle - non riuscendovi peraltro - in nome di una morale che non è scomparsa proprio del tutto. In questi revenge western più nuovi, come il Vancini di cui stiamo parlando, o lo Joko di Margheriti del '68, il protagonista parte solo ed unicamente per uccidere. E tanto è studiata e metodica la ricerca ad una ad una delle vittime/ex carnefici, quanto è plateale e sanguinolenta la vendetta nel suo realizzarsi concreto. Odio contro odio, senza possibilità di redenzioni o ripensamenti. L'antieroe all'italiana è decisamente più umano, più vicino allo spettatore, rispetto all'eroe americano: mi avete fatto scontare 3 anni di lavori forzati togliendomi tutto, padre, ferrovia, donna, libertà, reputazione, e adesso la dovete pagare tutti. Il passaggio logico è certamente un po' naif, ma è più inquadrato nella realtà dell'uomo e precisamente dell'uomo della frontiera, di quanto lo siano troppi western americani buonisti e privi di mordente.
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