Regia di Guy Ritchie vedi scheda film
Alberto Abruzzese sostiene in La grande scimmia che «se si continua a viaggiare per tornare sul conosciuto vuol dire che la pulsione non dipende da un fine conoscitivo; vuol dire che si ama la ripetizione. Si ama la macchina [...]». Ciò che strappa il sorriso nell’operazione di Joel Silver e Guy Ritchie è dunque proprio l’approccio fracassone. Lontanissimi dalla sublime ironia metatestuale del Billy Wilder di La vita privata di Sherlock Holmes ma anche dalla teenage angst di Piramide di paura di Barry Levinson, i due confezionano un puro blockbuster. Holmes, che sfoggia un fregolismo degno del Peter Sellers di La pantera rosa sfida l’ispettore Clouseau, mena fendenti kung fu come Neo in fight club sottoproletari. Il perfido Blackwood, un Hitler in controluce che non ha digerito di aver perso il Nuovo mondo, vuol far saltare il parlamento in omaggio a Guy Fawkes e a V per Vendetta. Holmes e Watson battibeccano come Quei due di Stanley Donen e il ventesimo secolo s’annuncia con nuvolaglie nere mentre il Tower Bridge è ancora in costruzione. «Industrioso questo impero», osserva Holmes. Guy Ritchie ci ha messo i muscoli, ma pare evidente che il cervello è di Joel Silver.
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