Regia di Guy Ritchie vedi scheda film
La versione di Guy Ritchie dell’investigatore più famoso della storia. Sherlock Holmes, passato nel mixer caleidoscopico dell’ex videoclipparo, diventa un’icona pop, a metà strada tra il Neo di Matrix e il migliore dei manga giapponesi. La regia di Ritchie non è omogenea: a tratti confusa ed incerta, ai limiti del didascalico, a sprazzi invece illuminante, come quando la macchina da presa si fa soggettiva per denotare il maniacale puntiglio con cui Holmes nota il tutti i dettagli. Altro discorso per i movimenti di macchina furibondi e per l’uso della tecnica (in ogni suo film Ritchie sembra dover dimostrare di conoscere come piazzare e muovere la mdp) che apportano tanto spettacolo attraverso ralenti, flashback, effetti sonori, rendendo questo film un blockbuster in piena regola.
La storia è cadenzata da ritmi caotici, con un montaggio spesso frenetico e situazioni trattate in modo talmente rapido da non dare il tempo di riflettere. Eppure Holmes è capace di intuire tutto molto prima del normale, tanto che, una volta svelato l’arcano, l’uso del riepilogo è un espediente necessario oltre che risolutivo (specie nel finale) per illuminare la maggior parte degli spettatori in merito all’accaduto.
Il finale è la ciliegina su una torta di un prodotto appassionante, ma che appare apocrifo, a tratti troppo eccessivo rispetto all’originale personaggio creato da Conan Doyle.
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