Regia di Guy Ritchie vedi scheda film
Ricettina gustosa: prendete un tenentecolombo d’annata, una manciatina di budspencereterencehill, deponeteli in una terrina con cielo gonfio di nubi vanhelsinghiane, irrorate di xpervendetta, lasciate riposare. Aggiungete poi un goccio di indianajones (ma d’epoca accertata), spargete giusto una venatura omo,un pizzichino di blownawayfolliaesplosiva, sbriciolate in una terrina starsky&hutch, insaporendo con giusto un odore di kungfusion, a parte avrete creato una julienne con un cattivo molto tipo giudice morton (il christopher lloyd di chihaincastratorogerrabbit) che irrorerete con parsimonia ma uniformemente per tutto il film, guarnite aggraziatamente theprestige ed illusionist di contorno, ma con quest’ultimo in bell’evidenza, a parte rosolate VanDamme che esalterà la sapidità, impastate il tutto con atmosfere harrypotteriane e consumate fino all’epilogo signordeglianellanesco (che inviterà spudoratamente alla portata successiva).
E si... tutto è estremizzato in questa versione sui generis, s’ingarbugliano generi a più non posso e si mischiano le carte con mano comunque sapiente. Come letto non ricordo dove, un regista qualsiasi ne faceva tre di film col materiale a disposizione, ed è un’affermazione che sottoscrivo e ribadisco; è ovvio che si saccheggia di tutto e di più, i richiami si sprecano, ma tutti permeati di dèjà vu mai irritanti. Nella Londra ottocentesca , disegnata sapientemente, per quanto pericolosa, credulona, sudicia ed inospitale, ferve il futuro, i docks brulicano progresso e quel Tower Bridge che si stà ergendo – teatro del duello finale - seppur ancora scheletro famelico, simboleggia l’imminente uscita dalle nebbie e lo sdoganamento dalle tenebre, ed in tutto questo campeggia magniloquente la colonna sonora di quel geniaccio di Hans Zimmer, dirompente tosta e ritmosa, che fende il cervello trascinandoci vorticosamente. I classici flashbacks deduttivi holmesiani vengono caricati, con l’impronta ritchiana, di una grezza, a volte, indelicatezza, come quando assistiamo alla radiografia della futura sposa del compare Watson (un inedito, e forse non sfruttato a pieno, Jude Law) fin troppo facilmente “denudata” dal c(l)inico Robert Downey (neppure la più sprovveduta delle nobildonne andrebbe in giro col dito visibilmente “marchiato” per assenza di anello di, ancor troppo recente, altra storia…), ma devo dire che la reazione della medesima allo smascheramento, ci lascia una delle espressioni downesiane più significative del film. Tutto sommato non credo che Sir Arthur Conan Doyle si rivolti più di tanto (se non per un distinto sorridere). L’evoluzione del classico ”elementare Watson” era, ormai da tempo, sornionamente in attesa dietro l’angolo…
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