Regia di Edward D. Wood Jr. vedi scheda film
Il più brutto film mai realizzato? Parliamone. Intanto, se fra i parametri per giudicare un’opera d’arte figura l’autenticità dell’emozione che l'ha originata, al di là dei risultati, è innegabile che di coinvolgimento emotivo in Glen o Glenda ce n'è da vendere. Basterebbe la scena del ritrovamento del travestito suicida e la lettura della lettera di addio, forse la migliore (o la meno peggio) di tutto il film, a testimoniare quanto il tema stesse sinceramente a cuore del regista Edward D. Wood jr., non da ultimo per i noti motivi autobiografici. Il fatto che il film sia stato un flop, circostanza talora addotta come argomento per decretarne la bruttezza, chiaramente non regge. L'idea stessa di parlare di travestitismo e pseudoermafroditismo nell'America del 1953 (lo stesso anno, tanto per fare qualche titolo, di Amanti latini, Come sposare un milionario e Da qui all'eternità), e inserire questi temi in un discorso più ampio sull'identità di genere, l'idea di entrare a gamba tesa in un mondo comunque ancora controllato dal Codice Hays per affrontare i tormenti individuali e sociali di una minoranza, certo, ma pur sempre di cittadini americani, reca in sé qualcosa del fallimento eroico. Perché di fallimento si tratta, sia chiaro. Le interminabili sequenze in cui il vecchio ma ancora grifagno Bela Lugosi nei panni (magari anche probabili) del Destino si mette a strologare su draghi verdi e lumache, mentre in sovrimpressione appare una mandria di bisonti, farebbero gridare chiunque al raccapriccio. Per non parlare della scena in cui Barbara, accettato finalmente il vizietto del fidanzato (interpretato dallo stesso regista sotto lo pseudonismo di Daniel Davis), si toglie platealmente l'agognato golfino d'angora e glielo offre affinché possa alfine indossarlo. E cosi' anche l'ammonimento che Lugosi, nella versione originale, declama con accento tale ("Bevare!, anziché "Beware!") da mandare a catafascio ogni intenzione di solennità, trasformando il tutto in un indimenticabile momento trash. L'effetto, qui come altrove, è di una comicità involontaria che va nella direzione completamente opposta a quella voluta dal regista. Non c'è da stupirsi se la sensibilizzazione dello spettatore a cui probabilmente Wood aspirava, con il relativo ritorno in termini di comprensione e simpatia umana, non solo non avviene (salvo, forse, nella scena iniziale), ma rischia di lasciare il posto a tentazioni voyeuristiche - accentuate dalla decisione della produzione di rendere il film più appetibile con l'aggiunta di sequenze bondage o sadomaso - o nella peggiore delle ipotesi omofobiche. Un fallimento, è chiaro, rispetto all'intento iniziale. Ma tanto basta per definire Glen o Glenda il più brutto film mai realizzato? Non esagererei: al cinema si è visto anche di peggio.
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