Regia di John Ford vedi scheda film
Ford ci mette quasi un'ora e mezza ad ingranare la marcia, in questo che è, a mio parere, uno dei rari scivoloni della sua gloriosa carriera. Si comincia con una serie di avventure sentimentali che rasentano lo stucchevole e si prosegue con una lunga (e grigia) sequela di valori all american, da esaltare senza condizioni. Per di più, gli Stati Uniti d'America vengono presentati come una sorta di succursale dell'Irlanda, dove i nipotini di San Patrizio non fanno che cantare, bere, pregare ed adoperarsi per rendere ancora più grande il paese che li accolse volentieri, quali comuni nemici degli inglesi. Non ci sono neri né indiani e neanche tedeschi, scandinavi o italiani, nell'America descritta da Ford in questo film e, contrariamente alla tradizione, che vedeva la classe dirigente statunitense formarsi soprattutto tra i w.a.s.p., il regista descrive una West Point che pare una filiale del Trinity College di Dublino. Per di più, l'ideologia alla base della Lunga linea grigia è sospettamente intrisa di malcelato militarismo: tutti i ragazzi formati all'accademia militare partono talmente volentieri per la guerra, che non si capisce la loro gioia quando se ne annuncia la fine. Resta la mano robusta di un regista che ha saputo dare il meglio di sé in diverse stagioni della propria vita e della propria carriera (anche se con qualche caduta sul sentimentalismo quando si trattava di parlare della verde homeland lontana), ma anche una delle migliori interpretazioni di un divo che non fu grande attore: Tyrone Power, anch'egli di marcate origini irlandesi.
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