Regia di Alex Proyas vedi scheda film
Proyas ci regala una pellicola non del tutto convincente ma che fa riflettere. In un crescendo di tensione, alternando efficacemente uno stile horror filo-giapponese ad uno più fantascientifico spielberghiano, senza rinunciare in più occasioni al disaster-movie, il regista ci ammalia e affascina facendoci un sacco di promesse che poi non è in grado di mantenere negli ultimi quindici minuti. Questo perché Proyas ha preferito soddisfare (una volta ancora?) i produttori piuttosto che sé stesso e, di conseguenza, gli spettatori. Si storce la bocca, ma non lo si condanna, perché dimostra di avere comunque notevoli capacità espressive (salta subito agli occhi il long take del disastro aereo, impressionante ed efficace nella sue estensione, purtroppo rovinato dagli effetti speciali non proprio perfetti che contaminano tutto il film).
Una pellicola, come si diceva, non degna di studio ma di attenzione, in quanto tratta seriamente (sorvolando sull’inevitabile riflessione morale: è il caso di giocare con l’11 settembre?) di argomenti sempre attuali: partendo dalla tesi dell’opposizione scienza/fede e destino/caso, forse presentata in maniera troppo esplicita (in una lezione universitaria), giungiamo ad un finale che lascia un’amara speranza, che inevitabilmente tira in ballo anche il tema dell’innocenza puerile ma soprattutto, latente sotto i rimandi al giardino dell’eden in quel dolly finale dal design degno di Aronofsky, alla costruzione artificiale delle religioni.
Eccessiva, tenta di compensare laddove c’è evidente carenza di pathos (o forse aumenta di volume per impedirci di sentire le formulazioni negative dei nostri pensieri?).
Dimostra ancora una volta non di essere un pessimo attore, ma comunque non adatto a reggere ruoli da protagonista, rischiando di mettersi più volte in ridicolo.
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