Regia di Oren Moverman vedi scheda film
Strappalacrime? Melodrammatico? Ricattatorio?
Parole sbagliate.
Non è facile né giusto approcciarsi al giudizio di un film ad oggetto un argomento delicatissimo e toccante (come quello di che trattasi), con lo stesso tatto che hanno i protagonisti all’inizio del film stesso, quando si recano ad adempiere al proprio dovere istituzionale con scrupolo asettico ed imperturbabile. Non è possibile in alcun modo se non si ha un vissuto simile nel proprio bagaglio di esperienze personali. Non si può comprendere la variabilità delle reazioni dei familiari delle vittime (gli sputi, i vomiti, i ringraziamenti, i pianti strozzati in gola), né il tormento interiore di questi angeli della morte; a volte trattenuto così impeccabilmente da far paura; altre volte esploso ferocemente nei momenti meno opportuni, o semplicemente sgorgato da occhi arrossati o lividi, di nascosto.
A queste condizioni non si può esprimere un giudizio nel merito della rappresentazione di cotanto profluvio di commozione, lacrime e dolore. Surfare nell’oceano del dolore (come lo immagina il capitano Stone / W. Harrelson in un momento di icastica ispirazione).
Posso solo dire che le pause sono molte, i tempi sono lunghi e ciò non sempre stimola correttamente la necessaria riflessione. Le sottotrame parallele ed intersecanti aiutano a scalfire la rigidità del protocollo, aiutano a cogliere (del duo dei protagonisti) la psicologia ed ad alimentare un sentore di empatia, ma sempre in misura molto (molto) contenuta. Infondono leggerezza al racconto, ma non ne smorzano la tensione (che rimane sempre fitta e scomoda). Il disagio nei contenuti si fa disagio anche nella forma.
La distanza, in generale, è tanta, troppa.
E così il film, per certi versi incisivo e necessario, scivola via velocemente, senza riuscire a piantare alcun seme che possa dare un qualche frutto duraturo.
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