Regia di Oren Moverman vedi scheda film
All'esordio cinematografico di Oren Moverman va sicuramente riconosciuta una certa originalità di sguardo. Dote da non trascurare, soprattutto se ci si trova a mettere in scena un dramma che gravita attorno agli orrori della guerra. Argomento assai delicato ma altrettanto abusato in campo filmico e soggetto quindi ad una certa ripetitività di situazioni e contenuti. "The Messenger" ha dalla sua un nuovo punto di vista, quello appunto dei messaggeri del titolo, ovverosia quegli ufficiali incaricati di informare le famiglie dei caduti. Compito scomodo, intravisto qua e là in decenni di apparizioni lampo ma sul cui ruolo non ci si è mai soffermati più di tanto. Moverman invece ci guida nel loro mondo fatto di telefonate in piena notte e di empatie soffocate, un contesto di tensione quasi insostenibile, gestibile solo attraverso inequivocabili regole morali che sfociano nel distacco più assoluto. Lo fa attraverso la storia di due soldati, un disilluso ufficiale anziano ed uno più giovane, in congedo forzato, affiancatosi proprio per comprendere ed imparare l'ingrato mestiere. Una missione per stomaci forti che il regista segue invasivamente posizionando la macchina da presa immediatamente alle spalle dei protagonisti, avvicinandosi sempre più man mano che la tragedia prende forma negli occhi dei loro ascoltatori: mogli, genitori e figli affranti, annientati. Un'incursione nel dolore che metterà in ginocchio i suoi stessi alfieri fra sensi di colpa ed eccessi frastornanti (l'alcol, il metal, l'adrenalina) difficili da sopportare. Magistrali le prove di Harrelson e Foster, strepitosi nel contenersi a vicenda limitando così qualsiasi ragionevole rischio di over-acting. Interpretazioni sofferte che lasciano il segno all'interno di una pellicola ben scritta che non ha paura di mettere in discussione il sopravvalutato patriottismo americano. Come si evince anche dal finale, rialzarsi è ancora possibile ma è tutta un'altra storia. E finalmente la mdp inizia ad allontanarsi.
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