Regia di Oren Moverman vedi scheda film
Un film minimalista nei toni, ma efficace nel diffondere il messaggio di pace, senza enfasi retorica.
Ferito gravemente a un occhio, era tornato dall’Iraq il sergente americano William Montgomery (Ben Foster).
L’esercito americano gli aveva proposto, in cambio del suo rientro anticipato, il compito delicato di notificare di persona ai congiunti dei soldati uccisi durante la guerra irachena l’avvenuto decesso del loro familiare, con una breve comunicazione, senza lasciare spazio alcuno al proprio coinvolgimento emotivo.
L’efficientissima burocrazia americana aveva previsto, allo scopo, un regolamento particolareggiato: un minuto elenco delle cose da non fare e di quelle da fare assolutamente, non preoccupandosi affatto che le ragioni del cuore potessero confliggere con quelle delle regole.
Il sergente William, infatti, a differenza del suo accompagnatore Tony Stone (Woody Harrelson), aveva avuto una breve, per quanto terribile, esperienza della guerra e non si era quindi disumanizzato a sufficienza per accettare in pieno la logica di quelle regole: egli condivideva il dolore dei commilitoni orribilmente mutilati; così come lo strazio degli uomini e delle donne a cui comunicava la notizia tragica che avrebbe sconvolto la loro vita, i loro sogni, i loro progetti.
A differenza di Tony, William non amava il deserto degli affetti e delle illusioni e credeva possibile progettare il proprio futuro, forse lontano dall’esercito, ma vicino alle persone che avrebbero potuto, un giorno, amarlo.
Il film presenta almeno due temi sui quali ancor oggi è bene riflettere: la guerra non è solo strazio e dolore degli inermi che ne subiscono le conseguenze, ma è sofferenza di tutti, dei vinti e dei vincitori, essendo impossibile tornare senza ferite alla propria dignità, sia che le ferite ancora facciano male al corpo e all’anima – è il caso di William – sia che vengano cancellate dalla sopravvenuta indifferenza che è deserto del cuore, aridità che non appaga – è il caso di Tony –
La guerra, inoltre, (ed è l’altro motivo di riflessione) può essere accettata dalle popolazioni solo se non si permette all’informazione di fare il suo mestiere, raccontandola per quello che è: orrore, sangue e dolore.
È perciò importante riflettere sul fatto che le immagini non sempre diffondono correttamente le notizie: si possono spesso costruire in vista della diffusione di fake news per disorientare l’opinione pubblica, influire sulle scelte politiche di ciascun paese o sulle organizzazioni internazionali che per il loro ruolo istituzionale devono difendere le ragioni della pace…
L’efficienza dell’applicazione del regolamento per la notifica diventa lo strumento predisposto per scongiurare il rischio che le notizie più tragiche arrivino prima che se ne vedano le immagini, che, come aveva già insegnato l’esperienza in Vietnam, potrebbero provocare il rifiuto su larga scala della guerra. Chi deve applicare il regolamento non per nulla deve essere reperibile, attraverso un cerca-persone, in qualsiasi ora del giorno e della notte, per recarsi immediatamente a comunicare l’evento funesto.
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