Regia di Oren Moverman vedi scheda film
Ancora giardini di pietra nel XXI secolo,bare avvolte in bandiere,colpi di fucile come estremo saluto.Ancora conti da fare con una guerra che lascia aperte molte ferite che non hanno nessuna tendenza alla guarigione.Se allora la guerra era quella del Vietnam,ora c'è solo da scegliere tra conflitto afghano,iracheno e chi più ne ha più ne metta.Del resto gli USA sono il primo Paese al mondo nell'esportazione di democrazia e sono quindi anche quelli che devono pagare il più alto tributo di sangue.The messenger parla proprio del dolore della perdita di una persona cara in uno di questi conflitti.Un dolore sordo,lancinante che arriva all'improvviso e ti lacera da dentro.E tutto questo è visto dalla prospettiva dei militari addetti a riportare questa notizia nefasta ai parenti delle vittime.I protagonisti sono Will,sergente appena ritornato ferito da una missione in Iraq con un armadio che pullula di scheletri,traumi pregressi gentile omaggio della guerra e relazioni sentimentali lasciate in sospeso in attesa di essere interrotte, e il capitano Stone,alcolizzato pentito che frequenta le sedute degli alcolisti anonimi quasi per rimorso di coscienza,classico soldatino senza guerra anche lui alla ricerca di un perchè nella sua vita.La regola è quella di non accollarsi il dolore delle persone a cui notificano la morte di una persona cara,mantenere sempre la stessa distanza emotiva da loro,recitare la stessa retorica formuletta e poi fuggire il più veloce possibile.Ma è una regola più teorica che pratica:se Stone dopo anni di esperienza è come indurito dall'abitudine all'idea della morte,Will Montgomery carica su se stesso questo dolore quasi cercando inconsapevolmente di alleggerire la pena altrui.Vana fatica.Il problema è quando si accorge di essere attratto,ricambiato, da una giovane vedova a cui ha notificato la morte del marito.Che cosa fare?Forse l'unica cosa è attendere,forse il tempo potrà risanare qualcuna tra queste ferite.Il film di Moverman, che ha vinto l'Orso d''argento per la sceneggiatura al Festival di Berlino, è una mesta riflessione su una guerra globale in mondovisione che continua a seminare morti e lutti dappertutto.La diversa reazione dei due militari è il paradigma della presa di coscienza di un dolore tanto grande quanto(forse) inutile.William empatizza,vuole caricarsi sulle spalle un dolore che non gli appartiene,Stone si appiattisce e si nasconde dietro le regole,fin quando riconoscerà che è solo un indegno modo di fuggire.Di lavori brutti e mortificanti ne esistono ma credo che quello che fanno Will e Stone sia uno dei più brutti.Per non essere contagiati da quel dolore è necessario voltargli le spalle e cercarlo di ignorarlo.Ma come si fa?Ottimo il cast a partire dai protagonisti.Steve Buscemi in una piccola parte riesce quasi a strapparti il cuore dal petto,piegato, voltando le spalle alla cinepresa.
ottima direzione degli attori
ottima prova
non male
bravissimo anche lui
ottima
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