Regia di McG vedi scheda film
Imprescindibile pietra miliare della cinematografia cyberpunk, la saga di Terminator è un buon punto di vista per seguire e valutare i cambiamenti del cinema action negli ultimi vent’anni. Terminator, scritto e diretto da James Cameron esce nel 1984. Il seguito, Terminator 2. Il giorno del giudizio, sempre di Cameron, è un film del 1991. La trilogia viene completata da Jonathan Mostow nel 2003 con il deludente Terminator 3. Le macchine ribelli. La prima cosa da osservare è che col passare degli anni la storia diventa meccanismo: intreccio, funzioni, che macinano eventi e in cui finiscono stritolati i personaggi. Christian Bale è John Connor, il capo della Resistenza, che in un mondo devastato dalla guerra nucleare (siamo nel 2018) tenta di combattere le macchine che vogliono la distruzione dell’umanità. Bale ha voce profonda, una certa fragile eleganza nei tratti del viso, gli occhi disperati di chi conosce da sempre il proprio futuro, eppure anche l’interprete di Batman rimane intrappolato dentro un film che non concede né respiro, né tregua, e che soffoca qualunque sussulto di umanità nei personaggi. In questo senso, la guerra contro le macchine è già persa: e la metafora del cyborg dal cuore di carne non ci interroga mai veramente sul mistero della nostra identità. Come se lo scheletro d’acciaio sotto cui sferraglia il film di McG (che ha esordito alla regia con Charlie’s Angels e ne ha diretto anche il secondo capitolo) avesse già inglobato ogni sentimento umano ed eliminato ogni residuo di sangue e pelle. Infine: al contrario degli altri film della saga, in cui il futuro era un’incognita liquida, incerta, il campo invisibile dove proiettare domande e speranze, Terminator Salvation è interamente ambientato nel futuro, tempo immobile e impermeabile a ogni cambiamento, dove il destino delle storie è segnato in partenza. Un unico sussulto: la fugace apparizione di Schwarzenegger è un tuffo al cuore, un piccolo, vero viaggio nel passato.
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