Regia di Davide Manuli vedi scheda film
Due uomini in una terra desolata perdono l’autobus, un autobus che vola in cielo. Chissà forse in paradiso. Jajà dall’accento sardo e Freak dall’accento francese vagano come in un limbo in attesa di Godot cioè Dio. Una vecchia Panda con un teschio sul cofano e 06 sullo sportello destro li raggiunge, all’interno c’è l’agente 06 uno strano tipo che ha il compito di guidarli o per meglio dire di indirizzarli verso la meta Godot. 06 in macchina ascolta ammirato dallo stereo un depresso che confessa la sua vita mancata. Proprio come quella dei due protagonisti, Freak che ha bruciato la sua esistenza tra alcol ed eroina abbandonando la famiglia e Jajà che ha vissuto nella paura e nella solitudine. Intanto Godot non si trova, prima incontrano Adamo ed Eva poi un oracolo canterino e infine la Grande Madre. Ma la fine è l’inizio e l’attesa continua. BEKET è una versione techno e sperimentale del celebre testo teatrale ASPETTANDO GODOT di Samuel Becket. I dialoghi tra i protagonisti sono un ripetere e ripetersi di gesti e parole quasi a voler riassumere ciò che facciamo meccanicamente nel quotidiano o in una intera vita. Il paesaggio terrestre e umano è desertificato, una terra di nessuno e di passaggio per non si sa dove, popolata dal cowboy Roberto Freak Antoni (leader degli Skiantos), il quale almanacca con le parole nonsense delle sue canzoni; un Adamo pingue e tatuato che fa(ceva) il Dj ed è assillato da una Eva lesbica e affamata; Agente 06 (un’ottima caratterizzazione di Fabrizio Gifuni) parla in modo biascicato, trasporta e si nutre di anime in pena; Agente 08 è il suo sodale che appare in video (cameo di Paolo Rossi). Il regista-autore indipendente Davide Manuli ambiente questa non storia in Umbria (l’inizio e la fine) e in Sardegna tra la Gallura, le dune di Piscinas, le miniere di Monteponi etc. Sardi sono anche il campione dei pesi gallo Simone Maludrottu che apre e chiude BEKET a suon di pugni nell’aria e il bravo Luciano Curreli nei panni di Jajà. Freak invece è il francese Jerome Duranteau. Il progetto di Manuli va apprezzato per la libertà creativa data da una coraggiosa autoproduzione, per la tecnica e per la stupenda fotografia in b/n di T.Ben Abdallah. Cinema impegnativo e di non facile visione, un po’ teatro (dell’assurdo)beckettiano e un po’ esercizio di stile a rischio maniera. L’epigrafe che chiosa e sintetizza la filosofia di Be(c)ket sembra essere però un suggerimento al film e a Manuli stesso:”…Non importa. Tentare di nuovo. Fallire di nuovo. Fallire meglio”.
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