Regia di Lucile Hadzihalilovic vedi scheda film
In un grande collegio situato nel bel mezzo ad una ricca vegetazione boschiva, vengono educate alla vita delle bambine dall’età compresa tra i 7 ai 14 anni, da quando sono ancora delle bambine fino a quando le prime mestruazioni non iniziano a farle sentire delle donne. Oltre a delle anziane signore che vivono nel collegio e sembrano essere le costudi designante del luogo, ad accudire le bambine e preoccuparsi della loro educazione ci sono due istitutrici, Alice (Lea Bridarolli) ed Eva (Marion Cotillard). La prima si occupa di fornirgli l’istruzione nelle materie scientifiche e umanistiche, la seconda e la maestra di danza. Proprio la danza è il maggior veicolo di disciplina all’interno del collegio, l’arte che le accompagna lungo tutta la loro crescita. Una volta all’anno, al cospetto del severo giudizio della direttrice (Corinne Marchand), le bambine danno vita una gara di danza per dimostrare che ha raggiunto i migliori progressi. Solo una di loro viene scelta per uscire dal collegio e trasferirsi chissà dove.
“Innocence” di Lucile Hadzihalilovic è un film che produce una palpabile sensazione di straniamento oscillando tra il tono favolistico dato dalla meravigliosa ambientazione boschiva e il thriller da camera conferito alla messinscena dal farla muovere all'interno di uno spazio chiuso. Questo binomio lo fa essere un'opera che precede di cinque anni almeno la produzione di due film a mio avviso molto importanti nell'economia del cinema europeo (e non solo) a partire dal nuovo millennio e con i quali, sempre a mio avviso, ha delle evidenti assonanze stilistiche e poetiche. Mi riferisco a “Il nastro bianco” di Michael Haneke e “Kynodontas” di Yorgos Lanthimos. Con il primo, ha in comune il fatto, non solo di mettere al centro della scena l'educazione sentimentale dei bambini, ma di inserire questo esercizio svolto con assoluta arbitrarietà dagli adulti all'interno di un contesto sociale dove all'apparente serenità esteriore fanno da contrasto i battiti ancora inascoltati di un male che cova sotto. Con il secondo, invece, l'idea che l'integrità fisica e morale delle “nuove generazioni” debba necessariamente passare per la loro esclusione dal mondo esterno, presentato come luogo irto di tranelli pericolosi che allontanano il genere umano dall’agognata ricerca dell'ordine sociale. Ecco, “Innocence”, anche senza arrivare allo spessore autoriale dei due film indicati, conserva il pregio di catapultarci in un mondo altro lasciandoci la sensazione di aver offerto qualche riflessione intelligente sulla crisi valoriale prodotta dal "post-modernismo".
L'espediente usato da Lucile Hadzihalilovic (che per la cronaca è la moglie di Gaspar Noé) per immergere il film in una dimensione misterica pur senza fare un abuso eccessivo di situazioni misteriose nella costruzione dell’intreccio narrativo, è stato quello semplice (e anche un po’ banale) di far rimanere tutto nel vago e nell'inserire all'interno di questa vaghezza le concrete pulsioni sentimentali delle bambine. Nel vago rimangono, sia le ragioni effettive del perché esiste un luogo che con tanta cura cerca di “salvare” delle bambine dalla corruzione del mondo, sia i motivi precisi del perché delle bambine vengono lasciate dai genitori per essere educate alla vita all’interno di un grande edificio immerso nel bosco. Allo stesso modo, non è dato sapere perché è usanza del collegio far arrivare ogni bambina all'interno di una bara e neanche perché una bara viene bruciata ogni qualvolta una di loro lascia il collegio per essere trasferita chissà dove. Una cerimonia che è solo per il modo del tutto naturale con cui viene vissuta dalle bambine che non assume la portata funerea che pure custodisce. Insomma, tutto nel collegio rimane avvolto nel mistero, finendo per somigliare al simbolico castello kafkiano, un luogo metafisico dove è garantita la prosecuzione della specie a patto di seguire le regole che ne disciplinano rigidamente la vita. In questo luogo, le bambine fanno le bambine, giocano, scherzano e crescono seguendo una linearità di comportamento assolutamente affine all’età che hanno, e la regia si sofferma spesso sul loro gioviale candore. Eppure emerge qualcosa di disturbante dalla loro educazione sentimentale, come un complesso disegno biologico teso a preservare l’innocenza incorrotta fino a che questa non conosce la corruttibilità della carne e diventa un requisito fondamentale per la prosecuzione della “razza”. Sono trattate come delle farfalle, che possono spiccare il volo non prima di aver conosciuto tutte le trasformazioni che attraversano il proprio corpo.
Due anziane signore la cui identità non viene mai chiarita, insieme ad essere le vigilesse amorevoli di queste trasformazioni, sembrano essere le custudi designate di segreti riguardanti la natura umana da conservare gelosamente. Poi ci sono un nastro colorato che avvolge i capelli e che cambia con il con il cambiare dell'età e i progressi della danza vissuti dalle bambine come una competizione perpetua. Tutto è partecipe in chiave simbolica a fare del collegio un universo mondo che intende essere autoconclusivo. Un mondo che per conservarsi rende sacrificabile sin dalla più tenera età il valore etico della scelta. Quanto basta per fare delle due istitutrici il simbolo non dichiarato di un male che è tanto più pericoloso quanto più si presenta con la faccia benevola di chi, con sincera partecipazione emotiva, pretende di educarti a stare al mondo nel modo in cui si ritiene si debba stare al mondo. Perché il male sta nel rispetto pedissequo di regole che sono arbitrariamente decise da altri. Perché, anche se il rispetto di queste regole ti rendono una persona gentile e dall'aspetto rassicurante, è nell'assenza di ogni obiezione a ciò che ti viene chiesto di fare che si annida l'annullamento della propria personalità.
Ecco, Lucile Hadzihalilovic gioca con i simboli e con i toni della favola dark per riflettere sulle alienazioni indotte. Film interessante.
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