Regia di Giovanni Fasanella, Gianfranco Pannone vedi scheda film
Alberto Franceschini, Roberto Ognibene, Tonino Loris Paroli, Paolo Rozzi, Annibale Viappiani, cinque uomini di mezza età, si rivedono insieme dopo molti anni e vanno a mangiare in una trattoria situata nei dintorni di Reggio Emilia, la stessa dove quasi quarant'anni prima alcuni di loro, Franceschini, Ognibene e Paroli, scelsero la via della lotta armata, entrarono in clandestinità e costituirono, insieme a Renato Curcio e Mara Cagol convenuti da Milano dopo l'esperienza universitaria di Trento, quel nucleo da cui sarebbero nate le Brigate Rosse, la cui storia, escludendo forse le nuovissime generazioni, è nota. In un film completamente diverso nello stile ma accomunato dallo stesso tema di fondo, "La Banda Baader-Meinhof" del tedesco Uli Edel, la figura dell'Ispettore Herald si poneva il perché di una scelta così estrema, di capire la radice di tanta rabbia. In un certo senso questo è l'elemento centrale del documentario di Gianfranco Pannone, appunto il cercare di capire questo tipo di scelta: perché molti giovani di quella generazione intrapresero la lotta armata contro lo Stato e le sue istituzioni, perché tanti morti e feriti lasciati sul campo da ambedue le parti per oltre un decennio, il perché dei cosiddetti "Anni di piombo". Pannone con questo documentario è ben lungi da costruire teoremi o speculazioni che possano valere per tutti coloro che scelsero la via del terrorismo. Il film non è una ricostruzione della storia delle Brigate Rosse, ma partendo dal quel soggiorno in quell'osteria avvenuto nel 1970, ponendolo come "momento zero" di quell'esperienza, il regista si concentra sul "prima" anziché sul "dopo", più o meno noto, come già detto.
La Resistenza è stata tradita
Reggio Emilia, città dove è nato il tricolore della bandiera italiana, è un luogo che trasuda storie di Resistenza. Posta poco sopra la Linea Gotica, è stata campo di battaglia di molte formazioni partigiane contro i nazifascisti della Repubblica di Salò. Il tributo di sangue è stato altissimo, come testimoniato dalla medaglia d'oro al valore militare all'intera città e dalle lapidi di caduti partigiani sparse un po' ovunque nelle strade di campagna e mostrate lungo il cammino, percorso in bicicletta, da Adelmo Cervi, figlio di uno sette fratelli Cervi, fucilati dalle squadriglie fasciste della X Mas. Ognuno dei cinque componenti ha almeno un parente o un familiare che ha combattuto nella Resistenza. Uno zio di Alberto Franceschini (cofondatore insieme a Curcio delle future Brigate Rosse) è stato fucilato dai fascisti come partigiano all'età di soli diciassette anni.
La Resistenza e i suoi valori fondanti sono fortemente radicati sul territorio, testimoniano di una volontà collettiva ferrea contro vent'anni di governo fascista, una volontà di cambiamento del paese sotto la spinta anche delle truppe alleate appostate aldilà della Linea Gotica. I combattenti della Resistenza sono visti come delle figure mitiche nell'immaginario di questi giovani negli anni '60, che addirittura andavano lungo i percorsi della Resistenza a vedere i vecchi rifugi, i luoghi degli appostamenti o le vie di fuga. I partigiani costituiscono l'esempio di come si possa, in una situazione di guerra dichiarata, cercare concretamente di cambiare il futuro del paese e formarne uno nuovo con la forza delle armi. Vero è che il primissimo periodo del dopoguerra è stato molto duro in queste zone, definito non a caso "il Triangolo della Morte": uccisioni di collaborazionisti con il fascismo o presunti tali, regolamenti di conti fra le stesse formazioni partigiane, comuniste o di derivazione cattolica. Un periodo sanguinario quanto la guerra stessa, una specie di selvaggio West dove non c'era spazio per alcuna riflessione. Le armi non erano state tutte riconsegnate, sia da parte comunista che non; segno della grande incertezza del clima del primo periodo del dopoguerra ("Non si sa mai, potrebbero servire"). Esemplificativo in questo senso è il caso di Franceschini: il segretario della sezione locale del PCI gli regalò due pistole: una Browning e una Luger. Quella stessa Luger immortalata in una foto e puntata al volto di Idalgo Macchiarini, dirigente della Sit-Siemens di Milano, rapito dalle Brigate Rosse nel 1972 con un sequestro lampo.
Altra componente importantissima è la presenza capillare del partito comunista nel territorio di Reggio Emilia con percentuali altissime (verrebbero definite "bulgare") che arrivano in alcuni comuni della provincia ad oltre il 70% contro un modesto 6% della Democrazia Cristiana. I protagonisti del "Sol dell'avvenire" provengono da questa area e in alcuni casi, come Franceschini, addirittura dalla carica di Presidente della F.G.C.I. locale.
Nell'immaginario collettivo di Reggio Emilia un episodio fondamentale è rappresentato dalla manifestazione del 07 Luglio 1960 contro il varo del governo Tambroni, sostenuto a livello esterno dai neofascisti del MSI. La manifestazione si concluse in un bagno di sangue con cinque morti e il ferimento di altre 16 persone. Un fatto importante che Pannone sottolinea con forza nel suo documentario inserendo foto d'epoca e il rumore degli spari di quella giornata. All'epoca I cinque uomini avevano un'età che oscillava dai 12 ai 15 anni, ma ancora oggi il ricordo di quel giorno si mostra estremamente lucido e presente e con ogni probabilità ha lasciato un segno profondo in queste persone. Sono passati solo quindici anni da quando il nemico fascista è stato combattuto pagando con una altissimo prezzo di sangue durante la guerra ed ora te lo ritrovi a sostegno di un governo di forte matrice autoritaria come quello Tambroni. E' una cosa inaccettabile e incomprensibile, ma soprattutto viene percepita come una paura di tornare indietro, di rendere vani questi quindici anni della giovane repubblica italiana, un tradimento verso quei morti della Resistenza. E' il primo segno di una frattura che non sarà mai curata e che porterà di lì a pochi anni a delle tensioni interne nel partito comunista, monolitico solo all'apparenza ma con diverse voci di dissenso.
L'appartamento
Queste voci dissenzienti si manifesteranno con l'esperienza dell'Appartamento, una casa presa in affitto in cui confluivano, in un clima quasi da Carboneria prerisorgimentale, quei giovani le cui voci andavano in direzioni diverse rispetto alla linea ufficiale del partito comunista, ritenuta troppo moderata. Argomenti di discussione erano le vicende politiche nazionali e internazionali come il Vietnam che teneva banco, insieme alla Rivoluzione culturale di Mao con le sue ripercussioni nel nostro paese. Si sentiva quindi l'esigenza all'interno di queste riunioni di percorrere strade diverse, più improntate ad una logica più rivoluzionaria che fosse in grado di dare una scossa ad un paese ormai stagnante, spingendolo ad un rinnovamento più deciso. Nei discorsi dei cinque uomini si evince chiaramente una certa insoddisfazione all'epoca, oltre che nelle istituzioni dello Stato in generale, un'altra più profonda verso la casa madre del partito comunista e i suoi vertici dirigenziali.
Anche in un microcosmo limitato ad un appartamento di una città di provincia come Reggio Emilia sono stati piantati quei semi che matureranno nei movimenti del '68 e nel rafforzamento della sinistra extraparlamentare. Il partito comunista locale ovviamente sapeva di queste riunioni, ma almeno inizialmente tali riunioni erano tollerate finché non manifestarono un tono decisamente più sovversivo rispetto alla ufficialità del partito. La rottura vera e propria fu con il Congresso del partito comunista nella primavera del '69 con l'elezione a vice segretario di Enrico Berlinguer e l'approvazione di una mozione in cui tutta l'attività del partito doveva avvenire all'interno delle linee dettate dalla Costituzione. Tramontata quindi qualsiasi ipotesi rivoluzionaria si determinò una frattura all'interno del partito. La comune dell'Appartamento non aveva più riferimenti nel partito, si sentiva tagliata fuori e ci furono quindi nuovi riferimenti nella sinistra extraparlamentare dei movimenti studenteschi ed operai: Lotta Continua, il gruppo del Manifesto, i Gap di Giangiacomo Feltrinelli, ecc. Le iniziative non approvate dal partito comportavano l'espulsione dal partito stesso come accadde per Franceschini, quando insieme ad un giovane Walter Veltroni ed altri movimenti parteciparono ad una manifestazione contro le basi Nato in Italia. L'attività di questi movimenti divenne febbrile e dotati di una certa autosufficienza, stampavano manifesti e volantini che andavano ad attaccare negli orari più improbabili, anche con espedienti come mettere grani di vetro nella colla per dissuadere chiunque cercasse di staccarli ("ma quando cazzo andavamo a dormire!").
A questo punto il regista introduce un elemento esterno che è Corrado Corghi, ex segretario regionale della Democrazia Cristiana, uscito dal partito nel 1968 per il suo dissenso circa l'atteggiamento verso la guerra del Vietnam. Corghi quindi rappresenta una persona che malgrado la ex appartenenza alla parte avversa, la Democrazia Cristiana, riesce ad avere la capacità di dialogo verso questi fuoriusciti dal partito comunista. Alcune riunioni dell'Appartamento si tengono a casa sua ed è importante questo punto di vista, perché prima di tutto evidenzia un paradosso di fondo: l'"amico" (il partito comunista) non ti ascolta, mentre l' "avversario" (politico s'intende) ti offre la possibilità di poter discutere le tue idee. In secondo luogo è testimone della frattura all'interno del Partito Comunista stesso, la scissione in atto tra la dirigenza del PCI nazionale e le giovanissime leve della sinistra. Ormai il vero avversario non erano solo le istituzioni dello Stato o i padroni delle fabbriche, il vero avversario in fondo era lo stesso PCI, soprattutto nelle piazze. L'obiettivo del gruppo Appartamento era di essere l'avanguardia armata di una forza che innanzitutto doveva mettere in luce tutte le contraddizioni all'interno del PCI e dei sindacati, le cui linee di condotta erano diventate troppo morbide. ("Ma pretendi veramente che una decina di coglioni riusciva da sola a prendere il potere? Erano le contraddizioni che dovevano emergere").
La trattoria delle Brigate Rosse
A "Da Gianni", piccola trattoria sulle colline intorno a Reggio Emila e precisamente in località Costaferrata di Casina, si arriva alla resa dei conti, una scelta da compiere in maniera netta, senza se e senza ma. Si discute molto in quei pochi giorni e si arriva alla conclusione per ognuno dei convenuti di dover scegliere o meno la via della lotta armata. L'eco della bomba di Piazza Fontana è ancora molto forte, il concreto pericolo di una svolta autoritaria dopo l'autunno caldo del 1969 era tangibile e quella bomba con tutti quei morti certamente ha influito sull'accelerazione del processo e pesato sulla decisione finale riguardo la lotta armata. Negli anni successivi emersero delle trame come il Golpe Borghese, il golpe bianco di Edgardo Sogno, la Rosa dei venti, fino a Gladio. La tensione era palpabile e il pericolo di finire come la Grecia dei Colonnelli o ad una svolta "cilena" non era poi così campato in aria. Franceschini, Paroli e Ognibene scelsero la lotta armata, insieme ad altri uomini di Reggio come Lauro Azzolini e Prospero Gallinari (non presenti nel documentario). Paolo Rozzi e Annibale Viappiani declinarono. Ciò che accadde dopo, purtroppo, è storia nota.
Quarant'anni dopo questi uomini si rivedono nella medesima trattoria, c'è una certa commozione fra di loro ed il luogo favorisce il riemergere dei ricordi di lotte combattute, di partecipazione alle manifestazioni, i cori scanditi. La telecamera di Pannone è quasi invisibile. Apparentemente può dare un'impressione stridente il clima di convivialità riguardo al tema trattato del film, ma permette ai protagonisti di parlare a ruota libera, di aprirsi con sincerità, senza tuttavia dare al documentario un tono né consolatorio, né tantomeno giustificativo delle loro gesta come saranno di lì a poco. Lo scopo di questo documentario non è riaprire delle ferite, perché in fondo tali ferite non sono mai state chiuse, bensì più semplicemente parlare e discutere di un argomento che si vuole rimuovere e dimenticare a tutti i costi. Se c'è una cosa a cui questo film da un certo punto vista va contro, questa è proprio la rimozione della memoria. I cinque sono gli unici che hanno accettato di far parte di questo progetto. Altri sono stati interpellati, ma hanno declinato per svariati motivi: alcuni per opportunità in quanto dirigenti di partito, altri non vogliono far riemergere qualcosa di morto e sepolto, altri ancora addirittura "non ricordano" affatto il periodo dell'Appartamento.
In fondo sono partiti come dei partigiani a combattere una guerra. Una guerra che, sotto la stella a cinque punte, hanno combattuto e perso. Rimane il ricordo doloroso dei morti. Alla fine del documentario c'è il momento più toccante del film: il ricordo della morte di un pentito all'interno del carcere di Torino. Dopo le torture subite dai carcerieri nella cella di punizione aveva iniziato a parlare, ma malgrado le torture subite, fu strangolato da alcuni brigatisti per impedirgli di continuare ("Fate in fretta" furono le sue ultime parole). Paroli lo ricorda con la voce rotta dal pianto ("L'hanno strangolato! Cosa fai se ti torturano?"). L'avanguardia armata era rimasta sola. L'attacco al cuore dello Stato le si è ritorto contro. L'iniziale allegria del pranzo ha lasciato il posto al dolore più profondo, al silenzio pesante come un macigno.
Presentato con successo al Festival di Locarno 2008, "Il Sol dell'Avvenire" ha subito un deciso ostracismo distributivo nel nostro paese. Anche l'illuminante parere del cosiddetto Ministro della Cultura Sandro Bondi ("Offende i parenti delle vittime del terrorismo") ha in qualche misura influito sulla scarsa fortuna di questo documentario che offre, anzi, tanti spunti di discussione, che dà voce anche a chi ha praticato la lotta armata, che offre la possibilità di capire a fondo le ragioni di un fenomeno che ha tenuto banco per oltre un decennio della nostra storia. Non è la storia di un gruppo di fanatici esaltati (definizione più confacente a quelli della Uno Bianca, per esempio), è la storia di un gruppo di persone che ha operato un percorso travagliato fatto di numerose riflessioni, che li hanno portati ad una scelta ponderata e consapevole delle conseguenze che avrebbero comportato. Troppo facile farsi scudo dei parenti delle vittime del terrorismo, rappresentando uno Stato che nulla ha fatto, per non dire remato contro, per dirimere le ombre di un periodo storico (da Piazza Fontana in poi) ancora troppo pieno di zone oscure. Questo sì che è oltraggioso come minimo. Anche le remore della sinistra a tirare fuori gli scheletri dai propri armadi e negare che la storia delle Brigate Rosse non li riguardi affatto, suona un po' ipocrita. Seppur battendo strade diverse, le idee di base furono comuni. Parlarne con onestà e franchezza non sarebbe stato scandaloso. L'errore più grave è rimuovere e dimenticare più in fretta possibile. Per tutti.
"Un popolo che ignora il proprio passato non saprà mai nulla del proprio presente."
Indro Montanelli
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