Regia di Henry Selick vedi scheda film
Coraline e la Porta Magica non è un film per bambini, ma questo se non viene detto non si sa. Poi viene anche detto ma la maggior parte della gente non legge e non si informa su cosa andrà a vedere poiché alle mammette teledipendenti che usano gli strumenti di intrattenimento per far star zitti i pargoli per almeno un’ora e mezza, basta vedere qualcosa che sia disegnato per etichettarlo come pane per denti da latte.
Un po’ come per una ciurma di preadolescenti capitanati da una mia conoscente accompagnatrice che alla vista di Watchmen e alle ossa che uscivano da avambracci fratturati e coiti in sospensione sulla navetta del Gufo Notturno a cavalcioni di Spettro di Seta, ha dovuto abbandonare la sala prima di germinare traumi infantili successivamente sviluppabili in paranoie omicide stile Profondo Rosso, anche per Coraline luccicanti lacrime hanno rigato le paffute gote di nidiate di innocenti trascinati fuori attraverso l’ovattata multisala da genitori costernati e dall’aria vagamente stupida, barcollanti nei loro occhialetti treddì alla fratello-tonto-di-Clark-Kent. Quello che anche se anche se li toglie rimane esattamente com’era prima e nelle cabine telefoniche il telefono gli ruba il gettone.
Coraline è un film straordinario in realtà, un capo d’opera che sposta i primi passi del TREDDI’ dall’effetto Méliès ad un più consapevole utilizzo a scopo narrativo, anche se non in maniera definitiva. Per questo credo bisognerà attendere il molosso di James Cameron, Avatar, film bulimico e tecnologicamente sparato nel futuro.
La piccola bimba dai capelli blu e l’impermeabile giallo invece è protagonista di una fiaba nera e gotica diretta dal creatore di Nightmare Before Christmas e del quale qualche sovrapposizione stilistica con quest’ultima prova ne legittima l’effettiva paternità.
Coraline è una bambina annoiata e triste, mediamente ignorata dai genitori, padre pallido occhialuto e gobbo e madre in carriera fatta opportunamente ad imbuto rovesciato con spallucce tettine e culone e su tutto un viso sciatto e freddo insieme, che scopre una porta magica con vista su un’altra dimensione. Nell’altra dimensione tutto è caldo e bello, i genitori sono buoni e servizievoli e se non fosse per quei disgraziati bottoni cuciti sulla faccia al posto degli occhi tutto sarebbe perfetto.
L’altra dimensione è quella del sogno, del paese dei balocchi senza pena e responsabilità, senza dolore e successiva elaborazione dello stesso cosa che presuppone uno step di crescita, normalmente. Un posto finto fatto di cose finte dalla bellissima facciata bloccata in un inespressivo sorriso stereotipato che nasconde la vacuità dei sentimenti. Troppo, è troppo per non essere una metafora delle condizioni dei gggiovani d’oggi, invischiati nella ragnatela del paese dei balocchi a completa disposizione senza alcun sacrificio. Tutto si rivelerà, troppo tardi, come l’altroquando delirante di un’entità malvagia, scheletrica e dalla aracnoidea morfologia che muta di botto la favola in delirio pop-psichedelico. La favola di Coraline è costellata luoghi ameni che insinuano pensieri inquietanti, colori cupi e personaggi strambi che confinano al grottesco e che nella loro controparte Altra (nell’Altra dimensione tutti hanno un loro alter ego sotto forma di inquietante bambola con bottoni al posto degli occhi) acquistano un notevole spessore horror. Intendiamoci, nessuno si inventa nulla, lo spirito di Burton aleggia su tutto il film, stile e ambientazioni sono mutuate da tutti i Bambini Ostrica presenti nei suoi film e della quale Coraline e soprattutto il timido Whyborn (perché-nato) sono altri due felici capitoli; Alice nel paese delle meraviglie è virata al grottesco con tanto di Stregatto a fare da Virgilio nell’inferno della dimensione demoniaca con buona pace di Lewis Carrol. Qualcosa di Gilliam? Ci può stare. Il senso, se senso c’è, è ambiguo quanto basta per non catalogare il cartoon nelle operette morali stile collezione Disney. In esso si legge la storia di bambini morti che hanno perso gli occhi e –di conseguenza- l’anima dei quali i glauchi bulbi ne sono lo specchio, il detto popolare insegna, inseguendo la falsità del mondo dei balocchi e dei sogni; parla di cani morti; di topi/ratti ballerini; di bambole antropomorfe dagli occhi e dalle bocche cucite; di genitori cattivi che sono buoni e genitori buoni che nascondono un animo cattivo; le facce escono dallo schermo con violenza; un vago senso di morte aleggia per tutto il film. Che non è quindi un film per bambini, e questo si è detto, a partire dai titoli di testa anche questi in stile Burton in cui la costruzione della bambola di Coraline è qualcosa di più di inquietante e sottilmente malvagio. In tutto questo spicca il 3 D, misto ad animazione a passo uno, il tutto reimpastato nella computer grafica per fornire una profondità di visione sicuramente mai vista prima in grado di conferire al film uno spessore e un livello di spettacolarità elevatissimi. Esattamente come Coraline siamo entrati nella dimensione dello spettacolo in tre dimensioni, abbiamo gli occhialini sugli occhi come i personaggi del film hanno i bottoni. Ci faremo abbagliare dai lustrini e dalle meraviglie o riusciremo ad avere film con uno spessore narrativo in cui il treddì non sia solo il fuoco d’artificio ad uso promozionale? Strana coincidenza questa, Coraline insegna: una volta attraversata la porta e deciso che l’Altra zona è meglio, è molto difficile tornare indietro ai grigiori e ai sapori aspri della vita vera. Vedremo.
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