Regia di Henry Selick vedi scheda film
La fantasia di Henry Selick non ha limiti. Lo si era capito da quando, insieme ad un altro genio dell’animazione, Tim Burton, aveva dato origine a quello che oggi è considerato a tutti gli effetti un cult dell’animazione, The Nightmare Bifore Christmas. Ora, il regista americano ci riprova con una bella storia, sebbene sempre tendente al noir, tratta dal romanzo di successo di Neil Gaiman. Coraline è il primo film d’animazione ad alta definizione in 3D, girato in stop-motion, frutto di sette anni di lavoro, con uno staff di 450 persone e un budget di 60 milioni di dollari. Un capolavoro.
La storia è quella dell’undicenne Coraline Jones, da poco trasferitasi in una nuova casa con i genitori. L’adolescente vive la malattia del secolo degli adolescenti, la trascuratezza da parte dei suoi genitori. Sarà questa la causa per cui compie una sorta di viaggio interiore, ma anche reale, di perlustrazione di ogni luogo e ogni dove, compresi gli angoli di casa, dove ritrova la misteriosa porta, dietro la quale si cela un passaggio per un mondo diverso, senza ombra di dubbio, però, migliore, rispetto a quello reale. Infatti, quest’altro mondo è abitato da genitori amorevoli, territori curati, con tanto di giardini curati e magnifiche attrazioni, confezionate dai vicini. Coraline deve compiere una scelta importante: per mezzo di un biglietto da visita deve scegliere di tornare alla vita di prima, anche se non è affatto semplice. Tant’è che, per restare, Coraline dovrebbe cucirsi due bottoni sugli occhi, proprio come tutti gli altri abitanti di lì.
E’ indiscussa la valenza artistica e tecnica del lavoro di Selick, non disgiunta dalla valenza del testo sceneggiato, degno della miglior letteratura gotica e con il valore aggiunto del punto di vista, di una bambina di 11 anni. Per cui tutto appare tra il vero e il faceto, il sogno e la realtà, una Coraline all’interno del paese delle meraviglie, che leva il posto a quell’altra di ben più antica memoria.
Quel che maggiormente sconcerta di questo bel film, poco fanciullesco e viceversa molto adulto nei significati, è il modo attraverso cui i personaggi che si celano nell’altro mondo, altro non sono che i fantasmi delle persone che appartengono al mondo reale, per la loro somiglianza e la possibilità che le loro vite, apparentemente disgiunte, potessero essere colte piuttosto come Plutarco insegna: come vite parallele. Il problema sta nell’accorgersi, nel guardare e non perdere di vista quel che due bottoni potrebbero aiutare a celare. Invece, Coraline, ha tanto da dire anche agli adolescenti odierni, soprattutto in rapporto ai loro desideri e ai loro bisogni, a cominciare dalla ricerca di maggiore attenzione da parte dei propri genitori, sempre più propensi alle loro fatiche quotidiane e abituati a scucire e rappezzare rapporti marginali che rischiano di stapparsi per sempre, soprattutto non appena si “diventa grandi”.
Andare a cinema per guardare un film come Coraline, significa anche fare mente locale di tutta quella inventiva scenografica, già utilizzata ampiamente da Burton, ma qui c’è in più la dimensione dell’anima fantastica del miglior Dalì e dell’espressionismo che s’imprime nello sguardo a lungo, guardando i soli e i cieli di Van Gogh, con tutta l’amplissima gamma cromatica dei sentimenti. Proprio come tutti i personaggi del film, capaci di ben rappresentare tutta la vastissima gamma delle espressioni e delle smorfie, propriamente umane. Il resto è suggestione, palpito e un lungo viaggio nella propria vita. Quella più nascosta, a portata di mano. Dietro la porta che ognuno dovrebbe spalancare.
Giancarlo Visitilli
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