Regia di David Bowers vedi scheda film
C’è una distanza, anzi quasi una lacerante frattura, tra l’inventore e la sua creazione. Come quella tra il dottor Frankestein e il mostro o tra il vecchio scienziato e l’Edward burtoniano. Quello di Astro Boy è un altro esempio di come squarci del cinema fantasy e d’animazione incontrano tracce del mélo. Anche stavolta c’è un padre che nega il proprio figlio, proprio al contrario di Pinocchio, il cartoon della Disney del 1940 al quale il regista David Bowers (Giù per il tubo) dice di essersi direttamente ispirato. Nella futuristica Metro City uno scienziato, dopo la tragica morte del figlio, decide di costruire Astro Boy. Il robot però viene ben presto abbandonato e giunge così sulla Terra spacciandosi per essere umano. Adattamento del popolare manga di Osamu Tezuka, Astro Boy appare come un’operazione corretta ma informe, con dentro frammenti della letteratura di Dickens (nell’immagine dei bambini vagabondi) e contrasti alla Tati di Mon oncle (nei due universi spaziali contrapposti). Da un punto di vista figurativo, infatti, nonostante segni grafici espressionisti e post-futuristi, restano soltanto dei lampi sfocati che col tempo rischiano soltanto di diventare sempre più inconsistenti. S.E.
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