Regia di James Cameron vedi scheda film
2009. La grafica computerizzata ha raggiunto livelli di verosimiglianza che noi umani non avremmo mai potuto immaginare. E James Cameron dirige un prodotto mastodontico, una piccola grande impresa progettata per raccogliere miliardi. Un traguardo storico per il cinema come prodotto di quantità, passatempo usa-e-getta delle serate senza impegno.
Tra i difetti peggiori di Avatar quello di aver ricalcato la trama da Pocahontas è probabilmente il minore. D’altronde, molte delle opere di cinema che hanno lasciato un segno nella memoria sono tratte da fatti o racconti. Il vero danno è stato l’aver soffocato la potenza espressiva delle immagini dalla potenza di calcolo dei computer, l’aver sostituito completamente lo stile con la tecnica. L’essersi dimenticati che guardare delle belle immagini è condizione sufficiente per fare un buon documentario, ok, ma per fare del buon cinema è la direzione – personale, morale, emotiva – delle immagini che non può mancare.
Il prodotto di Cameron è tristemente anonimo perché il significato di ogni bella immagine che ci viene mostrata è quello di saziare il senso dello stupore sull’istante. È come se la nostra soglia d’attenzione fosse tenuta costantemente in piedi non dal senso corale dell’opera, ma dal succedersi di ogni singola immagine o trovata ad affetto che il computer è stato in grado di generare.
E il tentativo di recuperare in corner una morale tramite un debolissimo messaggio ecologista è sinceramente agghiacciante.
Malgrado tutto va assolutamente visto. Perché certamente è un grande spettacolo per gli occhi, ma soprattutto per capire la direzione che il cinema ha preso per il futuro.
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