Regia di James Cameron vedi scheda film
Difficile opinare un film come "Avatar" e, per giunta, farlo praticamente per ultimo, a quasi due anni dall'uscita al cinema, dopo ben 262 amici che mi hanno preceduto nel recensirlo, in molti casi versando fiumi di inchiostro (virtuale) in interminabili ed incessanti polemiche che ho sempre evitato accuratamente di leggere, dal momento che non mi interessavano e perché, per dirla tutta, non me ne fregava nulla nemmeno del film di James Cameron che non ho pensato neppure per un attimo di vedere al cinema e che ho (svogliatamente, vi assicuro) "recuperato" ieri in tarda serata, quando, all'ennesima replica su Sky, mi sono detto: "vabbè... adesso o mai più". Evidentemente il gigantismo del film ha contagiato anche la mia scrittura, a giudicare dalla lunghezza del primo periodo di questa mia opinione, ma non divaghiamo e andiamo al sodo: l'idea di vedere "Avatar" non mi ha mai appassionato per il semplice fatto che non amo i kolossal e che, per di più, non m'interessa minimamente il 3D. Non ho MAI visto un film con gli occhialini: trovo che la moda sia un fenomeno passeggero destinato a spegnersi rapidamente e la mia idea di cinema è molto tradizionale e rigorosamente a due dimensioni. "Avatar", quindi, l'ho visto in 2D e su uno schermo da 23 pollici: ben lontano quindi dall'ideale fruizione di un'opera nata per stupire per grandiosità d'immagini ed evoluzione tecnica. Eppure l'ho trovato stupendo, per quanto mi riguarda un capolavoro, con buona pace dei suoi tanti detrattori. Intendiamoci: sono troppo vecchio e scafato per emozionarmi per un cartone animato digitale (alla fine, per buona parte del film, di quello si tratta) ecologista che, dietro ad una trama fantascientifica, nasconde, nemmeno troppo velatamente, una serrata critica all'imperialismo statunitense che, dal genocidio degli indiani d'America fino all'operazione Desert Storm, continua ad usare la forza e la violenza per raggiungere i propri scopi (significativo quando il crudele Colonnello Quaritch afferma che bisogna attaccare gli alieni subito per muovere una "guerra preventiva al terrore"). Da vecchio lettore di SF sono, poi, ben consapevole delle tante incongruenze ed assurdità che costellano una sceneggiatura piena di falle, nonostante tutto, però, "Avatar" mi ha conquistato per la subilime bellezza e fantasia del mondo alieno ricreato da Cameron e soci, che mi ha ricordato (suscitandomi un sorriso e magari una lacrimuccia) le meravigliose storie di fantascienza classica come "John Carter di Marte" di Edgar Rice Burroughs (chi ne ricorda le splendide versioni a fumetti degli anni '70 che, per estetica e fantasia, anticipavano la saga di "Star Wars" prossima ventura?). Mondi fantastici e alieni, esseri strani e sorprendenti, affascinanti effetti visivi, una storia semplice ma coinvolgente che permette, nella lotta dei Na'vi per la propria terra, di rivivere la passione per i primi film western "revisionisti", come "Piccolo grande uomo", "Soldato blu", "Corvo rosso" o il più recente "Balla coi lupi" che, finalmente, costringevano a guardare all'epopea della frontiera americana, ristabilendo la verità storica sul ruolo di oppressori ed oppressi (in effetti lo scontro finale tra umani e alieni ricorda non poco la Battaglia del Little Big Horn, che vide la sconfitta e il massacro delle truppe comandate dal famigerato Generale Custer). "Avatar" costringe gli americani a tifare, paradossalmente, per gli indigeni Na'vi contro gli americanissimi umani: un atto "forte" ed estremamente politico in un'epoca, come quella del post-11 settembre caratterizzata negli USA da uno spesso becero patriottismo privo di sfumature e dubbi di sorta. Tecnicamente il film è di qualità eccelsa anche se, come spesso è accaduto, sono proprio le tecnologie più avveniristiche ad invecchiare più precocemente e a soffrire lo scorrere del tempo e, chissà, magari tra qualche anno, quando le animazioni e il motion capture di "Avatar" saranno resi obsoleti da nuove mirabolanti innovazioni, guarderemo al film di James Cameron con la stessa tenerezza e la stessa fascinazione con le quali oggi guardiamo agli ormai superati effetti speciali della prima trilogia di "Guerre Stellari". Efficace il cast del film, pur senza contare su nomi di particolare rilievo al botteghino: da notare l'exploit di Sigourney Weaver, un po' accantonata negli ultimi anni, che, grazie all'antico sodalizio stretto con Cameron ai tempi di "Aliens", si è potuta togliere lo sfizio di comparire in due dei più importanti film di fantascienza di tutti i tempi. Ingiudicabili i protagonisti "digitalizzati" e trasformati in alieni, anche se Zoe Saldana è riuscita ad ottenere la fama che, paradossalmente, non aveva mai raggiunto in tanti anni di ruoli da "umana". E infine c'è lui, James Cameron, amato da pochi, apprezzato (spesso a denti stretti e con una punta d'insofferenza) da molti e detestato (più o meno cordialmente) da almeno altrettanti (del resto si sa che il successo rende sempre antipatici): a questi ultimi dico che bisognerebbe avere l'onestà intellettuale di ammettere che i grandi risultati di Cameron al botteghino non sono casuali e che il regista americano è uno dei dei pochissimi capaci di realizzare opere grandiose e complesse in grado di segnare profondamente l'immaginario collettivo del tempo che le ha generate, in qualche modo trasversali (e forse, perché no, in questo anche furbe), adatte alle più disparate fasce di pubblico e sempre caratterizzate da un gusto contagioso e appassionato per il CINEMA, per il raccontare storie su un grande schermo, dando fondo a tutte le risorse che la tecnologia e l'immaginazione (in fondo entrambi prodotti dell'uomo) mettono a disposizione: intrattenimento puro, ma di grande spessore e qualità. Amatelo o odiatelo, ma riconoscete i suoi indiscutibili meriti: Cameron, a suo modo, è un genio, uno dei registi più importanti e significativi della storia del cinema e "Avatar" è, nel suo genere, un capolavoro assoluto. Cinque stelle.
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