Regia di Francesca Archibugi vedi scheda film
L'inizio sembra un po' fiction, ma presto il film prende sostanza e diventa cinema di buon livello. Il pessimismo della regista è sempre più forte, e qui si può parlare secondo me di quasi disperazione. L'unico antidoto ad essa è il fantasticare e il parlare sciocchezze per distrarsi. Tuttavia - tengo a precisare - il cinismo non c'è, e questo rende il film comunque apprezzabile. Per cinismo io intendo il pessimismo accompagnato da un ridere del male, mentre esiste solo quello, e a cuor leggero; in più ci dev'essere la cattiveria del tentativo di trascinare lo spettatore dalla stessa parte.
Il ritratto di società che ci dà la Archibugi, comunque, è piuttosto nero, e le uniche isole di bene o le realtà che funzionano abbastanza (come la famiglia del personaggio di Rossi Stuart) sono minacciate da un destino crudele e spietato. Attorno a loro, tutti fanno sesso con tutti.
La presenza di Paolo Villaggio mi sembra puramente ornamentale, anche perché l'attore è piuttosto distratto e svogliato. Diverso è il caso di Verdone: nella sua breve apparizione ci fa assaporare le movenze e i toni che gli sono più propri e che lo hanno reso famoso. Si vede che si impegna. Bravi i due protagonisti, specialmente Rossi Stuart, il quale, da un inizio di carriera di bel manichino, dimostra di essere diventato un vero attore. Albanese è forse ogni tanto sopra le righe, soprattutto quando fa lo stralunato o vaneggia in ira e disperazione. Comunque promosso anche lui.
La distruzione della statua della Madonna è una delle scene più amare e disperate del nostro cinema recente.
Preferisco "Il grande cocomero".
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