Regia di Francesca Archibugi vedi scheda film
Opera introspettiva, che con grazia e delicatezza suggerisce riflessioni intime e profonde, con un cast di rilievo e un bravissimo Albanese. Si ride e ci si emoziona, senza forzature nè esagerazioni, apprezzando un approccio registico e attoriale che premia la sostanza, senza inseguire la forma.
Una commedia drammatica si basa su un delicato equilibrio, che non è facile mantenere dall'inizio alla fine. Grazie a una regia misurata e ad un cast affiatato, la "magia" si realizza in Questione di cuore, che racconta con originalità e garbata ironia una storia triste ma non strappalacrime.
Tra i due protagonisti, Albanese spicca per qualità e quantità, e forse Rossi Stuart è perfino troppo trascurato, tanto che sembra non riuscire a dare sfogo alle sue doti attoriali, finendo per fungere quasi più da spalla. Personalmente avrei visto volentieri uno sfogo più accorato del suo personaggio, come spesso abbiamo visto fare dall'attore in altre opere. In effetti la vicenda sembra ruotare principalmente attorno allo sceneggiatore, caratterizzato da molte sfaccettature, complesso e complicato; per converso, il carrozziere di borgata ci viene presentato come un soggetto più elementare e semplice, che quasi non merita approfondimenti.
A parte lo sbilanciamento tra i due protagonisti, il resto non presta il fianco a particolari critiche, e la visione sa donare tanto sorrisi quanto "lacrime", rivelandosi abbastanza intimista da consentire allo spettatore di immedesimarsi, e forse anche guardarsi allo specchio: chi siamo? Chi vogliamo essere? Persone semplici, risparmiatrici, devote alla famiglia, oppure eclettici personaggi che si circondano di lusso e vip, ma arrancano perchè mancano loro le basi? Forse la risposta sta nel saper divenire sintesi di tutti questi mondi: scrutare tutto ciò che ci circonda con curiosità e voglia di scoprire, ma senza dimenticare che l'essere umano si realizza negli affetti, nella famiglia, nei rapporti autentici.
Senza appesantimenti o facili lezioni morali, la regista suggerisce quanto possano essere effimeri i rapporti basati sulla quantità: a che serve avere una folla di "personaggi" attorno, se poi non c'è nessuno nel momento del bisogno?
Musiche non invadenti, ma aggraziate, delicate e giusto un poco nostalgiche, che a tratti sembrano richiamare Ennio Morricone in C'era una volta in America, e accenni di jazz accompagnano la visione con armonia, rammentando quanto un'opera a tutto tondo non possa mai trascurare la colonna sonora.
Ad impreziosire il tutto, alcuni camei, con quello di Verdone che si impone magistralmente nei pochi secondi in cui interpreta se stesso.
C'è anche un Paolo Villaggio, che però non sembra particolarmente in parte, e onestamente non rende il proprio personaggio come viene descritto (una "iena").
Bravissimo Albanese, che, come sempre, riesce credibile in ruoli che passano dal serio al faceto, sapendosi prestare magistralmente a vestire i panni del dandy, tanto quelli dell'uomo in crisi o a un punto di svolta. Sicuramente a lui va molto del merito complessivo dell'opera.
Da consigliare, senza riserve.
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