Regia di Joël Santoni vedi scheda film
Da due anni la famiglia Briand - la madre Elaine (Garcia), la figlioletta Christine (Leclerc) e il padre David (Bacri) - si è trasferita da Parigi in Svizzera, in una villa di vetro e cemento progettata dallo stesso David, architetto che si ispira allo stile minimalista. Elaine detesta la casa in cui risiedono adesso: oltre a trovarla fredda e alienante, la fa sentire tagliata fuori dal mondo, sicché gli chiede di mettere in vendita la residenza per tornare di nuovo a vivere in città. L'uomo replica dicendo che la villa che ha disegnato è il suo biglietto da visita e che sta a lei farsi degli amici e integrarsi nella nuova realtà. A complicare la situazione sopraggiungono due imprevisti: davanti al cancello della villa si ferma la roulotte della famiglia Bronsky - il padre Cappy (Bisson), la madre Hazel (Lavanant) e la figlioletta Betty - che si insinua subdolamente nella vita dei Briand. Cappy ricatta velatamente il signor Briand, facendogli intendere che sa qualcosa di compromettente sul suo conto e ottenendo l'incarico di giardiniere privato pur avendo un braccio mutilato. Nel frattempo si presenta alla villa Christian (Chicot), vecchia fiamma di Elaine e produttore discografico di successo, che propone alla donna di occuparsi dal giorno successivo dello studio di registrazione di Losanna. Preoccupata di lasciare sola la piccola Christine, Elaine chiede allora alla signora Bronsky di badare alla figlioletta finché lei non torna dal lavoro. Da questo momento la casa dei Briand è sotto scacco dei Bronsky: Cappy la cura all'esterno e Hazel la occupa all'interno, torturando psicologicamente e fisicamente la piccola Christine.
Se qualcuno ritiene che la "nouvelle horrorvague" francese nasca dal nulla, ebbene si sbaglia di grosso: "Mort un dimanche de pluie", thriller-horror malato e disturbante, è difatti uno dei più velenosi semi del genere, tant'è che Bustillo e Maury, gli autori del sublime "A l'intérieur", lo hanno indicato come una delle loro principali fonti d'ispirazione. Ultimo lungometraggio cinematografico di Joël Santoni, regista successivamente rifugiatosi nella televisione per carenza di produttori disposti a finanziare i suoi progetti, "Mort un dimanche de pluie" è un crudele gioco al massacro dai risvolti sociologici, in cui un ex operaio che ha perso un braccio a causa di un incidente sul lavoro si presenta alla villa di un architetto che sta attraversando un momento delicato sia dal punto di vista professionale (attende da mesi che si concluda un gigantesco progetto edilizio) che sentimentale (è in crisi con la moglie).
Il nuovo arrivato fa allusione a una località, Neugeant, e sul volto dell'architetto si dipinge immediatamente il terrore: che cosa si trovava a Neugeant? Perché l'uomo mutilato è così invadente e insinuante? Quali scheletri nell'armadio nasconde il signor Briand? Su questa traccia enigmatica, Santoni, adattando il romanzo eponimo di Joan Aiken "Died On A Rainy Sunday", impernia una giostra di tensioni che ha per fulcro la villa minimalista della famiglia dell'architetto (una cattedrale di vetro e cemento nel deserto della campagna elvetica). Visibile e vulnerabile come un plastico in scala, la residenza dei Briand è la dimora ideale da squarciare e violare, e con lei l'intimità della famiglia che vi abita, peraltro già percorsa da egoismi e insoddisfazioni.
Il film, magnificamente interpretato da un quartetto di attori impiegati in ruoli insoliti per la loro carriera (Jean-Pierre Bacri in particolare), gioca sia con le atmosfere stranianti che con una progressione narrativa incalzante, allentando la morsa soltanto in occasione delle scene che mostrano Elaine al lavoro in sala di registrazione, mentre la perfida Hazel imperversa malignamente nella sua casa, maltrattando a più riprese la piccola Christine. Senza dare tregua, il crescendo sadico del film si avvale di una regia nitidissima dal punto di vista formale: la macchina da presa pattina nell'ambiente domestico come in un palazzo del ghiaccio e si incunea tagliente negli altri luoghi (lo studio dell'architetto, la sala di registrazione, la roulotte dei Bronsky), prelevandone soltanto alcuni frammenti. Ne deriva una configurazione spaziale che separa nettamente la villa da tutto ciò che la circonda, rendendola una realtà totalmente avulsa dal contesto in cui si colloca, un corpo estraneo in cui penetrano altri corpi estranei.
La paura dell'intrusione è estremizzata dalle continue sorprese percettive (una sagoma zoppicante entra improvvisamente alla sinistra del quadro, il baccano di un tagliaerba fa irruzione nel campo sonoro di Elaine, la presenza di Cappy che origlia rivelata da una lenta carrellata all'indietro) e da un montaggio che ritarda sistematicamente la rivelazione dei particolari raccapriccianti (la scoperta del castigo di Christine su tutti), ottenendo acuti effetti di shock visivo e acustico. Alla creazione di un clima crudele e opprimente contribuisce l'acqua: il film è praticamente irrorato da una pioggia battente e quando le precipitazioni si interrompono, l'elemento liquido (correlativo oggettivo di una minaccia che si infiltra ovunque) incombe dal deposito sopraelevato, che si trasformerà nel finale in una vera e propria piscina mortale (a significare il contenimento del pericolo).
Ma dove il film di Santoni raggiunge picchi di cattiveria inusitata non è tanto nelle misurate (e perciò laceranti) esplosioni di violenza, quanto nelle tecniche di traumatizzazione psicologica applicate dalla babysitter Hazel (una Dominique Lavanant maleficamente grifagna) sulla piccola Christine (Cerise Leclerc, maltrattata fuori parametro): uno stillicidio mentale che, bandito ogni buonismo, fa di "Mort un dimanche de pluie" un gioiello di glaciale perfidia che non può mancare nella videoteca personale di ogni amante dell'horror.
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