Regia di Jean-François Richet vedi scheda film
Maria (Ledoyen) e Linda (Sodupe) sono due giovani operaie al primo giorno di stage in una fabbrica di imbottiture: se Linda si mostra compatibile col nuovo impiego, Maria manifesta immediatamente segni di insofferenza, dicendosi intenzionata a mollare subito la nuova occupazione e trovare qualcos'altro. All'uscita dal lavoro, le due aspettano l'arrivo in macchina del fidanzato di Maria, Karim (Aït), accompagnato dall'amico Manu (Bugsy), giovane disoccupato interessato a Linda. A scombussolare il già fragile equilibrio di Maria, la quale non perde occasione per mettersi in cattiva luce, intervengono altri due incidenti: scopre di essere incinta e sgraffigna, vista dagli uomini della sicurezza, un paio di mutandine in un supermercato, rifiutandosi di ammettere il furto e finendo per farsi arrestare. Trattenuta al distretto in stato di fermo, la giovane è oggetto delle attenzioni morbose dell'agente Bertrand (Stevenin), attenzioni che degenerano in abuso sessuale... Terzo lungometraggio di Jean-François Richet dopo l'irreperibile "Etat des lieux" (1995) e il barricadiero "Ma 6-T va crack-er" (1997), "De l'amour" è un film che, ferma restando l'ambientazione nella banlieue parigina, canbia radicalmente coordinate cinematografiche. Se nella pellicola precedente Richet urlava a squarciagola la rabbiosa insoddisfazione e la ghettizzazione coatta delle "cités", in "De l'amour" ripiega nell'intimità estetizzante e nella meccanica vendicativa del "rape and revenge", salvo disattendere l'una e l'altra grazie ad una calibrata strategia depistaggio narrativo. Nella prima parte del film, che in virtù di un minutaggio contenuto (90') non soffre battute d'arresto o cali di ritmo, a prevalere sono le caratterizzazioni dei personaggi (scarne ma incisive) e le relazioni che intrattengono tra loro, lasciando sufficiente spazio alla descrizione del contesto circostante. La seconda parte, con l'abuso poliziesco a fare da cesura, si focalizza invece sulle reazioni scatenate dall'evento traumatico: sgomento e spaesamento nella vittima, ira e desiderio di vendetta nel fidanzato Karim ("volontianamente" alienato dal alvoro in fabbrica), con conseguente spedizione punitiva ai danni del flic molestatore (il truffauttiano Jean-François Stevenin). Depistaggio narrativo, si diceva: nessuna delle due piste imboccate (mélo intimista e rape and revenge) è seguita fino in fondo. Al contrario, i percorsi canonici (amore impossibile e vendetta riparatrice) sono messi fuori gioco da un'angolazione obliqua che li piega verso l'osservazione ambientale (il primo) e l'impraticabilità del progetto punitivo (il secondo). Ma non c'è niente di ammiccante o assolutorio in questi scarti dal tracciato drammatico: pur ingentilita da una messa in scena preziosa e levigata (fotografia fredda, inquadrature bilanciate, movimenti di macchina fluidi e imperiosi), l'iscrizione dei personaggi nello spazio rifugge sia dall'estetica del brutto che dalla semplificazione decorativa e il disinnesco della prospettiva castigatoria non si rabbonisce in perdono assolutorio o in pentimento catartico, semplicemente imponendosi come soluzione fisicamente impraticabile. E nonostante il film non sia esente da qualche passaggio forzato (la sottotrama che vede protagonista il corpulento Bouboule odora di compitio antidroga/antisopruso), l'autentico punto di forza del film risiede nell'originalità della definizione ambientale: la banlieue non è descritta in modo uniforme e invariabile (la classica prigione di cemento o l'agglomerato di casermoni), ma è sbozzata come spazio vitale e pulsante (tra le colate di "béton" fanno capolino angoli frondosi e giardini verdeggianti), testimoniando anche in questo inedito trattamento visivo della cité (solitamente rappresentata come l'"Africa dell'Europa": statica, nera e immutabile) la capacità di Richet di reinterpretare e riscrivere luoghi cinematografici in via di cristallizzazione. Naturalmente "De l'amour" in Italia non è stato distribuito: troppo profondamente radicato nel suo territorio per avere mercato da noi. Se non è ghettizzazione pure questa...
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