Regia di Karin Albou vedi scheda film
Il film è interessante essendo fra i pochissimi che ci ricorda che anche la Tunisia subì l’invasione tedesca durante la seconda guerra mondiale (1942), e che di conseguenza fu coinvolta nella persecuzione degli ebrei.
Il film ci ricorda altresì che, nonostante la diversa religione, ebrei e musulmani – soprattutto se di umili condizioni – fino al 1942 vivevano pacificamente gli uni accanto agli altri confortandosi reciprocamente e aiutandosi, ancor più in tempo di guerra, nel rispetto del Verbo rivelato dal Corano e dalla Bibbia e interpretato con saggia tolleranza.
La propaganda antiebraica era riuscita, però, a penetrare anche fra la popolazione più povera, grazie all’ottima “paga” corrisposta a chi si faceva delatore e persecutore, sperando nell’aiuto tedesco per liberare il paese dall’occupazione francese.
In questo contesto si svolge la vicenda di Nour (Olympe Borval), musulmana e di Myriam (Lizzie Brocheré), ebrea: due ragazzine cresciute insieme e diventate inseparabili amiche, che ora rischiano di dividersi proprio per effetto dei sospetti introdotti dalla propaganda nazista.
La loro amicizia è uno dei temi più importanti del film: si alimenta – come accade spesso fra le adolescenti – della confidenza, delle preoccupazioni d’amore, dei sogni e delle aspirazioni segrete, condivise con dolente partecipazione da entrambe.
Il loro delicato e tenero rapporto è seguito con attenzione dalla regista, che mette in luce, con mano ferma e anche dura, lo scontrarsi delle loro speranze con la crudele realtà, che pare particolarmente accanirsi contro Myriam, costretta al matrimonio – che immediatamente presenta le caratteristiche di una violenta forzatura – con Raoul (Najib Oudghiri), uomo ricco e non amato, imposto dalla madre che – povera, perseguitata, e senza lavoro – aveva cercato di mettere al sicuro almeno lei.
La regia è attenta a evitare generalizzazioni facili e manichee: alcuni personaggi apparentemente negativi rivelano profonda umanità e pietosa empatia .
Così Raoul, che fa prevalere la propria compassione per la giovane sacrificata e così Myriam, la cui iniziale spietatezza nei confronti di quel marito detestato, avrebbe lasciato il posto a una più matura e sofferta consapevolezza del dolore.
Il film richiede pertanto una lettura attenta, poiché la regia di Karin Albou, oltre a rappresentare credibilmente il contesto ambientale, scava con finezza nei cuori dei suoi personaggi e racconta la crudeltà della guerra senza ricorrere a effetti speciali: le sono sufficienti i rumori spaventosi dei bombardamenti e la marcia dei soldati per evocarla, così come il pallore della madre di Myriam priva di sensi dopo il violento rastrellamento, la partenza dei deportati, il loro lavoro forzato…
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