Regia di Andrzej Wajda vedi scheda film
Con 'Katyn' l'autore polacco Andrzej Wajda - del quale, colpevolmente, non avevo mai visto alcun film - narra un tragico episodio della storia del suo paese, ossia la strage di Katyn - luogo in cui più di 20.000 ufficiali polacchi vennero trucidati con un colpo alla testa - addossata per decenni ai tedeschi ma, in realtà, commessa dai sovietici durante la Seconda Guerra Mondiale, con la Polonia praticamente divisa in due tra tedeschi e sovietici, come sottolinea l'emblematica prima scena del film, che mostra polacchi in fuga su un ponte presi nella morsa tra truppe tedesche da un lato e sovietiche dall'altro.
Il film è il commosso e partecipe resoconto del crimine perpetrato, strutturando la sua opera seguendo in alternanza le vicende di persone legate a uomini sterminati nella foresta: la tenace Anna (Maja Ostaszweska), che viene salvata da un ufficiale sovietico innamorato di lei, che a causa di un scambio di un maglione con un compagno di prigionia, spera (erroneamente) che il proprio marito sia ancora vivo e lo aspetta ogni giorno; la moglie di un generale, che vedendosi riportare l'arma del marito capisce che è morto e, in un primo tempo rifiuta di firmare una dichiarazione che attesta che Katyn è opera dei sovietici ma, sotto minaccia di deportazione ad Auschwitz, infine accetta e firma; la combattiva Agnieszka (Magdalena Cielecka) che vuole una lapide per il fratello anch'egli trucidato ma la data che vuol far apporre, che certifica che la strage è opera degli uomini dell'Armata Rossa, fa si che lei venga imprigionata (e forse deportata o uccisa, la scena lascia il tutto in sospeso).
Le tre storie si intersecano, in alcuni casi un po' bruscamente, fino alla sequenza finale decisiva, in cui, tramite il diario di Andrzej (Artur Zmijewski), marito di Anna, si comprende che l'ora della carneficina è giunta e vedremo, uno dopo l'altro, i tre uomini di cui sono state narrate le vicende, lo stesso Andrzej, il generale e il fratello di Agnieszka, cadere sotto i colpi della furia cieca dell'NKVD: dalle parole scritte si passa ai fatti, assistendo sgomenti ad una scena di orrore puro, con dieci minuti che mettono a dura prova anche gli stomaci più forti, dove la mattanza viene eseguita con una tecnica simile alla catena di montaggio, con alcuni ufficiali schedati, portati in una stanza, eliminati con un colpo alla nuca, caricati su un camion, mentre il sangue su pavimento e mura viene lavato con una secchiata d'acqua, oppure altri portati in un bosco e uccisi sempre con la stessa tremenda tecnica e gettati in fosse comuni e successivamente ricoperti di terra con le gru. Come diceva un prigioniero ad un altro in un momento di prigionia: ''Di noi rimarranno i bottoni''.
Wajda usa un andamento disteso e quasi dimesso durante tutto il film per poi virare nella suddetta sequenza verso un parossismo esasperato, con scene secche e un montaggio sincopato, che dà l'idea di quanto sia orribile quanto avvenuto, riuscendo ad evitare le trappole di qualsivoglia retorica, chiudendo il film con una dissolvenza in nero, più eloquente di mille parole e discorsi.
Una vibrante opera di importanza storica.
Voto: 8 (visto in v.o.s.).
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